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Das Oberdada: il Dada Superiore

Einstürzende Neubauten, live @Alcatraz, Milano – 26 maggio 2022

Assistere a un’esibizione di Blixa Bargeld e soci è molto più dell’andare a vedere un semplice concerto: è essere testimoni di una performance acustica dove il tribalismo industriale diventa esperienza corporea e cerebrale al contempo; a tratti una vera e propria sfida all’ascoltatore, che viene bonariamente provocato a travalicare i confini ordinari del suono e del ritmo convenzionalmente intesi. Accade così che, accanto allo strumentario ortodosso di chitarre, bassi, batterie e sintetizzatori, si avvicendino sul palco strumenti inusuali: placche di metallo, tubi, archi, campane. Geometrie e architetture elettrificate, costruite con materiali di recupero, che diventano imponenti fabbriche di suoni inauditi. Su tutto, si staglia la figura carismatica del frontman: poliedrico, ostico, surrealista. Incline a scherzare col pubblico, concentratissimo sull’esecuzione (a parte un inceppo nell’attacco di uno dei brani verso la fine, che lo fa molto ridere), arrabbiatissimo con il tecnico del suono, colpevole di non tenere abbastanza alto il volume delle tastiere (e destinatario di gestacci e occhiate di fuoco dalla seconda metà del live in poi).

Il pubblico di un Alcatraz gremito, accoglie con calore i suoi eroi: Blixa, glitteratissimo e mattatore, Alexander Hacke, Nu Unruhc (Andrew Chudy), Jochen Arbeit e Rudolf Moser, vengono avvolti da subito in un’atmosfera di entusiasmo incontenibile, con applausi che partono addirittura prima della fine dei pezzi (in un’occasione, è lo stesso Blixa a dover placare i boati per poter finire un brano). La presenza scenica di Bargeld è puntualmente impressionante: l’austerità teutonica di Christa Päffgen negli anni ’80, accompagnata a una buona dose di follia dadaista.

La scaletta, com’era prevedibile, privilegia l’ultimo lavoro della band, l’ottimo Alles In Allem, un lavoro più improntato alla melodia (ai limiti del folk, come Am Landwehrkanal, che richiama quasi un blues in stile Delta del Mississippi rivisitato in chiave post-socialista), con toni contemplativi e oscuri, come quando viene eseguita La Guillotine de Magritte, ma senza disdegnare momenti ad alto tasso di noise e proto-industrial (Zivilisatorisches MissgeschickTen Grand Goldie). Altrettanto prevedibilmente, si scatena un grande entusiasmo per I brani tratti dall’iconico Silent Is Sexy, o nel momento in cui Blixa canta/declama How Did I Die (da Lament), per non parlare dell’attesissimo (e lungamente invocato) encore, affidato a Let’s Do It a Dada!, vero e proprio anthem del popolo degli Einstürzende, con l’esilarante travestimento di Nu Unruhc e una danza catartica dell’intera platea, improvvisamente avvolta da ombre infernali. È l’apice perfetto, il climax emotivo ideale di quasi due ore di musica tiratissime, drammatiche, brutali.

Dopo oltre quarant’anni di presenza sulle scene, dapprima underground e poi sempre più “mainstream” (le virgolette sono d’obbligo), stupisce la capacità degli Einstürzende Neubauten di restare indenni al tempo, che spesso è implacabile e crudele, e che in questo caso è solo e unicamente la testimonianza di un portato artistico abnorme e miracolosamente integro.

We didn’t die
We’re just singing a different song

Valentina Zona

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