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WIRE

I Wire che ho plaudito all’ultimo esplosivo concerto sul palco ‘invernale’ di sPAZIO211 mi sono piaciuti, ma mi sono piaciuti in modo diverso. E non tanto perché in mezzo a qualche frangente dal repertorio più celebre la scaletta (peraltro non lunghissima) verteva in buona misura sulle cose più recenti (incluso ovviamente l’album del 2017 Silver/Lead), nonché su un buon numero di brani mai uditi prima, ma perché qui il loro sound possedeva un’altra carica vibrazionale, una forza d’urto tanto ficcante quanto scura e viscerale, qualcosa di simile ad un crossover di frequenze para-industriali che suonava punk all’ennesima potenza. Un concerto pazzesco, reso ancor più delirante da una massiccia presenza di pubblico, serrata a semicerchio attorno alla ribalta infuocata. Cuori ribelli inossidabili, adrenalinici e ferali come lo erano ai tempi di Pink Flag, il primo atto della trilogia aurea cui fecero seguito gli immaginifici Chairs Missing e 154. Incarnano i cromosomi della band seminale alla costante ricerca di nuove energie, di luoghi inediti, talora sinistri ed inquietanti. Che insomma ama sperimentare e stupire anche in sede live. Quasi irriconoscibile Colin Newman più ombroso che mai, eppur capace di travolgere al suono della elettrica e della sua voce di pietra. Ad affiancarlo la storica sezione basso-batteria occupata da Graham Lewis e Robert ‘Gotobed’ Grey e il nuovo chitarrista Matt Simms. Qualunque cosa facciano i Wire non deludono, lo hanno nuovamente dimostrato a piene mani. Se si pensa che sono in pista da oltre quarant’anni non c’è che da inchinarsi al loro cospetto. Questione di chimica? No, di puro talento. Onore al merito.

Aldo Chimenti

Torino | 4 ottobre | sPAZIO211

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