Top

TRENTEMØLLER – ALCATRAZ, MILANO

8 novembre 2024

Che personaggio affascinante, Anders Trentemøller. Di quelli fatti apposta per mettere in crisi noialtri, sempre alla ricerca di definizioni, etichette, semplificazioni che ci aiutino a fare collegamenti, a mettere in fila i riferimenti. 

Tanto per cominciare, chi è Anders Trentemøller? Un DJ? Forse all’inizio, ma poi ha scoperto che il mondo dei club gli faceva schifo (sebbene non fosse affatto vero il contrario). Un producer? Abbastanza, con tutti i celebri remix in cui si è cimentato, eppure ci suona ancora riduttivo. Un compositore? Decisamente si: i suoi dischi, soprattutto nella parabola più recente, hanno esattamente quella vocazione. Forse la definizione più corretta è quella di mastermind: la mente che dà forma a canzoni pensate per essere suonate con una band. Una band e, ovviamente, lui che dirige tutto coi suoi immancabili sintetizzatori. Perché Anders Trentemøller è uno degli esponenti della musica elettronica (non certo l’unico, ma sicuramente uno degli esempi più fulgidi), che ha saputo declinare il concetto di performance sintetica nel format concerto: basso, chitarre e batteria, voce (preferibilmente femminile), e poi lui.

Al centro, ma quasi sempre un passo indietro rispetto agli altri. Quasi che le sue trame di sequencer, delay, reverb e reverse fossero un semplice accompagnamento e non il sostrato, il fondamento della sua musica.

Artista del crossover elettronico, ha fatto della contaminazione la sua religione. In principio era la deep house, ma non è durata granché. L’orientamento si è decisamente spostato verso timbriche decisamente più glitch, ma anche groove e sctrach in odore di trip hop. Per non parlare di certe suggestioni post-punk e darkwave, à la Joy Division, New Order, The Cure (esplicitamente citati, tanto che alcuni brani potrebbero essere tranquillamente degli outtake di tutti loro messi assieme) e Depeche Mode (per i quali non a caso ha aperto anche un tour). E come non aggiungere certe fascinazioni chamber music, le attitudini dreamy in stile Beach House, fino ad arrivare a sfacciati rimandi shoegaze che sembrano dominare su tutti, specie nell’ultimo lavoro, Dreamwaver, e che sgombrano il campo da qualsiasi dubbio sull’influenza delle musiche di Badalamenti e delle atmosfere di Twin Peaks nella sua musica, ma che soprattutto e lo rendono a tutti gli effetti, e in modo abbastanza paradossale, alfiere della rivisitazione di un genere la cui prerogativa è tenere gli occhi fissi sulla pedaliera, mentre i suoi sono fissi sui synth.

Il concerto all’Alcatraz di Milano, in compagnia di Disa Jakobs alle voci e chitarra, Silas Tinglef alla batteria, Brian Batz alla chitarra e Jacob Haubjerg al basso, è stato un live ad alto tasso di alternanze: l’apertura è affidata alla splendida I Give My Tears che ci porta immediatamente nelle atmosfere rarefatte del gaze scuola Slowdive, mentre Behind My Eyes, con quella chitarra piena di chorus e flanger è totalmente un tuffo nelle sonorità anni ’80 dei Cure, d’altronde l’omaggio a Disintegration è palese. Dopo i due brani tratti da Dreamwaver si torna al 2013 (Lost) con le sonorità un po’ dark e un po’ electro-glitch di Still On Fire, mentre Dreamwavers ci riporta ai giorni nostri, con un mood darkwave glaciale ed etereo. A sorpresa, arriva anche No More Kissing In The Rain, altro capolavoro dream-pop quasi mai eseguito sino ad oggi in questo tour. River In Me, cantata dal bassista Jacob Haubjerg con ineccepibile piglio post-punk, è un altro salto indietro nel tempo. In combo perfetta, Dead Or Alive, uno dei momenti più ipnotici ed esplosivi del set. L’adrenalina scende per lasciare il posto alla pelle d’oca con Nightfall, uno dei brani più belli di Dreawaver (grande protagonista di questo tour, com’è ovvio); poi arrivano One Eye Open (da Fixon) e Vamp (The Last Resort) che è tutto uno schioccare di dita mentre la luce rossa ci fa sentire improvvisamente in una red room in stile David Lynch. Arriva anche il momento dancefloor: Moan (con dentro un campionamento dell’inconfondibile attacco di Lullaby), e Cops On Our Tail, il bellissimo remix del brano dei The Raveonettes, per chiudere con la maestosa Take Me Into Your Skin (con dentro un altro campionamento illustre: Blue Monday). Pausa e rientro fulmineo: il primo encore è una delicata parentesi ambient, Miss You, mentre la conclusione è affidata al glitch industrial post apocalittico di Silver Surfer, Ghost Rider Go!

Il pubblico si esalta, lunghi applausi. Abbiamo ballato, abbiamo chiuso gli occhi, abbiamo ballato ancora. Salutiamo il folletto di Vordingborg con gli occhi di ghiaccio. Scappiamo prima che cominci la serata Edm Reggaeton, Latin-Urban-Trap, Techno. Che va bene il crossover, ma c’è un limite a tutto.

In apertura Alessandro Baris, polistrumentista e produttore italo-americano che ha pubblicato nel 2022 il suo album di debutto ‘Sintesi‘ con featuring di Lee Ranaldo (Sonic Youth), Emma Nolde e Lisa Papineau.

(Testi: Valentina Zona – Foto: Niska Tognon)

Trentemøller

Alessandro Baris

Setlist

  1. I Give My Tears
  2. Behind My Eyes
  3. Still On Fire
  4. Dreamwavers
  5. No More Kissing in the Rain
  6. River In Me
  7. Dead Or Alive
  8. Nightfall
  9. One Eye Open
  10. Vamp
  11. Moan
  12. Cops On Our Tail (The Raveonettes Remix)
  13. Take Me Into Your Skin

Encore:

  1. Miss You
  2. Silver Surfer, Ghost Rider Go!
Condividi