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IMPRO BRAIN SOUND POD A VENEZIA

TEATRINO DI PALAZZO GRASSI | VENEZIA 14 OTTOBRE
VENETO JAZZ/NU FEST
IMPRO BRAIN SOUND POD
PAOLO DELLAPIANA – MARTINA BERTONI

Si giunge nello spazio abitato dal riconoscibile minimalismo firmato Tadao Ando con ancora vive le vibrazioni della stanca e incantevole voce di Little Annie, mitica componente dei CRASS che presta il suo contributo in un EP dei Larsen del 2019, band torinese da sempre casa di Paolo Dellapiana.
Appresso ci si porta anche le incancellabili e maestose ondate elettroacustiche scatenate da Martina Bertoni, magicamente racchiuse nei suoi splendidi lavori discografici. Nel silenzio diffuso della perfezione architettonica minimalista si pensa alla distanza tra le due esperienze e come, un dialogo tra i due compositori, possa riuscire a creare una struttura architettonica di valore pari a questa, capace di accogliere e in qualche maniera avvolgere chi decide di oltepassare la sua entrata.
Impro Brain Sound Pod ossia un podcast audio cerebrale improvvisato ovvero, un dialogo tra due unità generative umane sotto la direzione di impulsi cerebrali che partono direttamente da una sorta di casco indossato dal ricercatore piemontese. Da una parte la magia del suono modulare prodotta da un Buchla Music Easel, dall’altra la possente voce del violoncello sostenuta dalla infinita capacità digitale di espanderla. La purezza dell’improvvisazione guidata dalle onde cerebrali che a loro volta regolano una struttura architettonica apparentemente fragile ed invisibile rappresentata da un cono di luce dai colori cangianti e in continuo movimento, quasi una creatura aliena capace di provare emozione e interagire con il suono del quale si nutre allargando o restringendo i confini della sua azione.
Architettura sonora la si definisce e termine non può essere più che azzeccato, visto che Paolo Dellapiana è si un compositore dedito alla ricerca sonora ma è anche un affermato architetto.
Quando si parla di suono modulare oggigiorno, si pensa subito alle profonde e lunghissime cavalcate nei territori dei bordoni che lo sostengono, si immagina l’iterazione in divenire, le illimitate stratificazioni sonore, già si pregusta l’esplosione che la voce di un Buchla può far udire.
Seguendo il mood dettato dal titolo della performance però, l’approccio sonoro si presenta più analitico, meno istintivo e più legato a schemi algoritmici che prevedono il dialogo, se pur impostato sull’improvvisazione, con lo strumento acustico per antonomasia: il violoncello, avvolto nelle spire dei mille effetti digitali che aumentano esponenzialmente il mistero delle sue vibrazioni. E’ un avvicinamento lento, coperto dal velo in-visibile creato dall’entità architettonica programmata a reagire su impulso. Dopo solo dieci minuti le coordinate spazio temporali faticano a sostenersi, cancellate dal fumo e dal suono che satura l’aria e suddivide le sue vibrazioni sospese in tentativi acustico-digitali atti a risalire l’onda, lievi manipolazioni noise e profonde scosse modulari.
Un confronto che dura e si espande, quasi si stesse assistendo allo scontro tra due creature indistinte che si studiano cercando vicendevolmente di prendere il sopravvento. L’archetto della Bertoni scorre imperioso per qualche istante sulle corde dello strumento, ne espande la voce carica dell’irresistibile e futuribile classicismo agli ascoltatori ben noto. Di rimando si affaccia il verso modulare che inizia una danza su frammenti di suono che avvolge e sgretola, si fa luce verso la quale si tende l’ascolto trasformato in esercizio di apnea immersiva fino all’inattesa e sconvolgente esplosione finale nella quale la raffigurazione dell’Estasi si compie, così come si porta a compimento un dialogo tra esseri umani dotati di strumenti acustici immersi nel digitale, computer modulari e comandi che viaggiano seguendo collegamenti neurali.
Una architettura sonora nella quale l’ascolto abita, si diffonde e penetra.

Mirco Salvadori

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