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DAMNATION

Leeds University | Leeds (West Yorkshire, UK) |  7 Novembre

Alla sua undicesima edizione, Damnation si conferma ancora una volta come uno degli eventi più gettonati dell’anno. Quattro palchi (Jägermeister, Terrorizer, Eyesore Merch e Electric Amphetamine), gran quantità di bar (dove si possono degustare le famose birre locali), punti di ristoro e di vendita della merce più esclusiva: Damnation è il festival che accontenta ogni anno i metallers più esigenti. Questo importante evento live di metal estremo gode di fama internazionale grazie a nomi (leggi Carcass, Bolt Thrower, Cathedral, Entombed, My Dying Bride e Dragged Into Sunlight, solo per nominarne alcuni) che hanno onorato la scaletta degli anni passati. L’edizione 2015 non è da meno: la giornata parte con i ritmi accelerati degli inglesi The King Is Blind che dal Terrorizer Stage scaraventano un sano monolithic metal che smuove subito le acque. Il pubblico appare totalmente coinvolto grazie al lavoro di frontman di Stephen John Tovey, che con la sua esuberanza contagiosa condivide, in particolare con gli scalmanati addossati tra le prime file, tutta la sua linfa vitale. Con un inizio così promettente l’umore è già alle stelle per accogliere i belgi Wiegedood, la vera rivelazione del festival. Live nel Regno Unito per la prima volta in assoluto, i Wiegedood propongono un black maligno e aggressivo dove non esiste alcun limite quanto a volumi, scariche di blastbeat e sferzate di chitarra. È difficile credere che ci siano solo tre musicisti dietro questo tappeto sonoro così complesso e ricco di tensione emotiva. Le luci suffuse e le vampate di fumo creano un’atmosfera molto seducente, perfetta per il loro set che sarebbe potuto durare molto di più. Ma siamo solo all’inizio: negli infieri dell’Electric Amphetamine Stage, posizionato nel piano inferiore dell’edificio, il set degli inglesi Ohhms sta per partire in quarta: all’improvviso sbuca fuori il frontman Paul Waller da dietro le quinte, totalmente incontrollabile come se fosse stato colpito da una serie di scariche elettriche. Il sound di questa band originaria di Canterbury sta facendo parlare molto di sé non solo per l’apporto qualitativo al genere (un cross-over di sludge e post metal), ma anche per le apparizioni live senza limiti, sia in fatto di volumi che di distorsioni. Di ritorno al Terrorizer Stage, i connazionali Voices mantengono lo standard particolarmente alto anche se, con questi londinesi incalliti, i volumi e le velocità si ridimensionano lasciando spazio alla contemplazione interiore, soprattutto grazie ai vocalizzi provocanti del frontman Peter Benjamin e alle parti di chitarra di Sam Loynes, un connubio di intensità e ricercatezza. Un’altra band belga attira un buon numero di presenti: si ratta degli Oathbreaker che generano un’atmosfera sensuale e intossicante. Ma ci pensano i norvegesi Vreid a ridimensionare la sensazione di rovinosità nell’aria con il loro black‘n’roll che fa saltare e ballare anche i sassi. In tour con i connazionali Keep Of Kalessin (che suoneranno più tardi) per festeggiare il decimo anniversario della loro etichetta, la Indie Recordings, i Vreid dimostrano di possedere una buona tecnica esecutiva live che hanno mantenuto nel corso degli anni, aiutati dal fatto che ad ogni loro concerto il pubblico reagisce con impeto agli assalti sonori, accogliendoli sempre a braccia aperte. Di ritorno al Jägermeister Stage, la torcia viene passata a una delle band più prestigiose dell’evento, i tedeschi di Berlino The Ocean. Con il loro prog/post-hardcore che abbonda sia di originalità che di spessore, la formazione teutonica ha dimostrato di avere buone intuizioni compositive, riuscendo a combinare particolarmente bene gli assalti estremi con parti più melodiche, come nella splendida The Quite Observer. Dopo la parata degli irlandesi Altar Of Plague e dei norvegesi Keep Of Kalessin, questi ultimi contraddistinti ancora una volta dalla loro veemenza che fa pensare alla colonna sonora di una battaglia all’ultimo sangue, è il turno degli Islandesi più voluti del momento, i Solstafir. Di ritorno al Damnation dopo la performance indimenticabile dello scorso anno, i Solstafir ancora una volta non deludono. Le atmosfere cariche di mistero e passionalità vengono accentuate dai vocalizzi e dal lavoro di chitarra di Aðalbjörn Tryggvason. La sequenza magica di Ótta e di Pale Rider trasporta in una realtà ricca di progressioni entusiasmanti dal freddo sapore epico del Nord. Con gli olandesi Asphyx il Terrorizer Stage sembra colpito da una serie di bombe a mano, gettate una dopo l’altra ai ritmi del loro death forsennato che piace sempre. Il trio californiano degli High On Fire prepara il terreno per la chiusura del festival con un set che parte alla grande, con una versione di The Black Pot particolarmente ricca di atmosfera, e si conclude con la voglia irresistibile di seguirli sul palco per unirsi alla forza adrenalinica di Snakes For The Divine. Gli irlandesi Primordial, di ritorno al Damnation come i Sostafir per la seconda volta di seguito, passano questa prova live con la sufficienza piena: il paragone con gli headliner è inevitabile, gli svedesi At The Gates di Tomas Lindberg (per lui gli anni sembrano non passare mai) dimostrano di essere i sovrani indiscussi del festival. La successione di pietre miliari death che la leggendaria formazione di Göteborg sforna dal lontano 1990, culmina nella belligerante At War With Reality dove il drumming del mastermind Adrian Erlandsson irrompe in tutta la sua velocità eccessiva e la tecnicità incomparabile. La sequenza Kingdome Gone e The Night Eternnal manda tutti a casa con un gran sorriso, anche se per molti, che non resistono la tentazione di unirsi al party post-festival, la serata si trascinerà fino alle prime ore del mattino, come vuole la tradizione Damnation.

Fabiola Santini (testo e foto)

 

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