CLUB TO CLUB 2019: il report
Per il secondo anno, è la dicotomia buio/luce il leitmotiv di Club To Club. Una scelta evidente nella varietà dell’offerta che va dalle prime due serate alle OGR, alla chiusura di domenica che si snoda tra Porta Palazzo e la Reggia di Venaria, ma soprattutto nella differenza stilistica tra i due palchi delle serate clou al Lingotto, tra i quali il main stage prende appunto il nome Light over Darknessed è riservato agli act con più grande affluenza di pubblico, mentre il Crack Stage,posizionato all’entrata del padiglione fieristico che ospita l’evento, con le sue sperimentazioni e ricerche sonore si pone come un’immediata dichiarazione d’intenti. Il festival si è via via smarcato dalla sua accezione prettamante clubbing per avviarsi, edizione dopo edizione, verso una struttura più simile ad un festival europeo di ricerca (Primavera Sound su tutti) e quella appena conclusa è stata l’edizione che più di tutte ha evidenziato questo aspetto.
Dal pop di matrice canadese di MorMor, ai tecnicismi di James Blake, ai sempre lucidissimi ed in forma Battles, alla dance di Flume, alla botta sonora dei Black Midi, la lineup della prima serata si snoda su frequenze diverse, sebbene sia la serata del sabato quella con più spazio per la sperimentazione.
Desire ci spolvera quello che sarà uno degli act principali della serata. La band canadese consta infatti nella propria formazione di ben due membri dei Chromatics, Nat Walker e l’eclettico Johnny Jewel, che rivedremo sul palco appena un’ora dopo, insieme all’affascinante fronwoman Ruth Radelet. Le similitudini tra le due band sono evidenti non solo da un punto di vista musicale, ma anche estetico, con Megan Louise che fa da alter ego brunettealla biondissima Ruth. Le visual, di fortissimo impatto ed elemento catalizzatore dello show dei Chromatics, focalizzano l’attenzione sui suoi lineamenti angelici, perfetto connubio con la sua dolce e calda voce. Lo show ha i suoi picchi all’inizio, potente e fortemente ritmico, e sul finale, con la doppietta Cherrye Into the Black. Il corpo del live procede tra pezzi di repertorio e brani del nuovo album Closer To Grey, con un tiro sempre alto ma senza particolari picchi emotivi. La combinazione di melodia e visual tiene l’attenzione del pubblico sempre alta, anche durante il bis, che inizia con Ruth che, sola sul palco, imbraccia la chitarra e intona una scarna versione di I’m on Firedi Springsteen. Gruppo da sempre avvezzo alle cover, nel solo show di sabato 2 Novembre ne piazza ben tre (le due citate più il finale con Running Up That Hilldi Kate Bush). Non ci sorprenderebbe la realizzazione di un album dedicato.
Ci perdiamo con rammarico Kelsey Lu nonostante un cambio palco il più veloce possibile, nonostante l’esodo nel corridoio che separa le due sale, e sentiamo qualche pezzo di Helado Negro. L’americano di origini equadoregne Roberto Carlos Lange, con il suo pop raffinato ed introspettivo per cui è stato paragonato ad un Devendra Banhart latino, si presenta sul palco con una band essenziale e soprattuto senza base ritmica, nessun basso o batteria. Un’esibizione che in un contesto industriale e soprattuto in una location così ampia perde un po’ di mordente. Sicuramente un artista interessante, ma da godere in spazi più ridotti e in presenza di un pubblico più attento.
I Nu Guinea non deludono con il loro dj set che fa muovere tutto il pubblico accorso nella grande sala. A quell’orario e con quella location a disposizione, sarebbe stato interessante un act con la band al completo, spettacolo con cui il duo di producer di base a Berlino ha girato i club negli scorsi mesi, che avrebbe sicuramente retto la prova del grande palco di Club to Club. Probabilmente si è optato per una performance più ridotta in quanto il piatto forte doveva ancora essere servito. Floating Points è sicuramente l’artista più atteso della serata, quello per cui si muove un flusso compatto di spettatori che vengono stregati dai visual minimali e psichedelici e dai riff incalzanti e modulari dell’inglese Sam Shepherd.
Menzione d’onore per i londinesi The Comet is Coming. Si autodefiniscono una band che mescola elementi di jazz, elettronica e rock psichedelico, e sebbene non faccia una piega, è davvero riduttivo limitarli in definizioni. I tre generi sopracitati si possono identificare nei tre componenti del gruppo: Max “Betamax” Hallet porta la parte rock con la sua base ritmica alla batteria, Dan leavers “Danalogue the Conqueror” disegna i suoi spazi sonori psichedelici al synth, e l’impressionante sassofonista “King” Shabaka Hutchins ci mette l’anima, quella sporca, quella jazz. L’equilibrio quasi alchemico che i tre hanno trovato, se già è interessante su disco, diventa devastantemente potente nelle esecuzioni live. Sicuramente una delle rivelazioni dell’edizione.
Monica Bogliolo
ph Loris Brunello