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LOREENA MCKENNITH

Roma | Auditorium Parco della Musica | 26.03.2017

Partecipare ad un live di Loreena McKennith è come riunirsi in un cerchio magico. Sedersi. E celebrare. Candelabri scenici, luci siderali blu che intagliano, il trio musicale, in un rosso un carminio vivo, medioevale. Un palco esoterico accoglie la Dea. Arriva subito, nella pelle e nelle ossa, la magia di questa esibizione. Tra Lady Loreena e chi la ascolta dal vivo non esiste distanza. La sua melodia colma tutte le misure: fisiche, linguistiche, temporali. Sentire la grazia nella sua voce, gli acuti da soprano armonizzare in tribali danze celtiche: è un dono, un prodigio. Un incanto. Loreena McKennith è senza dubbio una Dea. Ha il potere della luce nei capelli. La bellezza dell’arpa. Del canto delle donne. Sa essere voce d’aria, foglia, rubino, fuoco, radice e candela. Ed ammalia tutti. Tra un brano e l’altro intrattiene il pubblico con i suoi racconti. Lei, accavalla le gambe e racconta: aneddoti, storie personali, motivi, ragioni e progetti. Come quello del ‘Falstaff Family Center’ di cui è fondatrice dal 2001. Un impegno civico e sociale che la vede molto attiva e sensibile. Parla anche della poesia. Legge i suoi diari. Come stesse leggendo una fiaba della buona notte. Respira. Interpreta. Sorride, calma. La scaletta del concerto è piuttosto classica, forse prevedibile, ma non importa. Non tocca e non danneggia in nessun modo la sua performance: estatica. Mummers Dance, Caravanserai, Penelope’s Song, Never ending road e una incantevole versione quasi acustica di Bonny Portmore. Un inedito, anche: France. Loreena McKenntih ha i suoi elementi di potere e si esibisce in un trio che contempla anche la presenza di due perfomer storici: Il chitarrista Brian Hughes direttamente da L.A. e la violoncellista elfo Caroline Lavelle, arrivata dalla Cornivaglia. La formazione intimista ha una potenza emotiva tutta sua. Si annida in pieno petto. Non la rivedremo presto in Italia, annuncia. Passerà del tempo, per noi mortali. Loreena saluta la sua platea alla fine di un concerto durato quasi due ore con un intervallo nel mezzo. Ci concede un bis e due brani. E poi un paio di inchini. E prima di scivolare aggraziata nel dietro le quinte, accoglie con un sorriso il cd promo che una ragazzina le supplica di prendere sotto palco. Lei, si inchina come se cogliesse un fiore di neve in primavera, e svanisce, nel clamore. Come le fate, le maghe, le donne di potere di un’era che forse, per molti, non esiste più ma che continua a respirare nel cuore di ognuno.

Laura Fabbri (testo e foto)

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