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Debo Band

 

 

Globalizzazione è anche nascere in un campo profughi del Sudan da genitori etiopi fuggiti dal regime militare di Addis Abeba, crescere in America, ritrovare le proprie radici culturali soltanto dopo la fine della dittatura nel suo paese attraverso i canti della tradizione azmari ascoltati a dodici anni nel corso di un lungo soggiorno nella città d’origine della sua famiglia e infine incrociare quel patrimonio atavico con tutti quelli che potevano mettere a disposizione altri dieci musicisti di disparata origine etnica e culturale in quel di Jamaica Plain, Boston, Massachusetts.
In estrema sintesi è questa la storia di Danny Mekonnen, fulcro della Debo Band, forse l’ensemble più numeroso, variegato e atipico che la Sub Pop abbia arruolato nel proprio catalogo da che è in attività.
Una specie di fulmine a ciel sereno, insomma, il suo ingresso in una scuderia discografica che pure ha diversificato assai le sue proposte dall’iniziale fede assoluta per il grunge, una sorpresa pari soltanto alla spregiudicatezza con la quale Mekonnen e compagni hanno mostrato nel dare senso compiuto al coacervo di suoni che si ascoltano nel loro eponimo esordio per il marchio di Seattle, la più avanzata, originale e futuristica interpretazione di quel verbo ethio-jazz che da qualche stagione è tornato a risuonare per le strade di Addis Abeba e di molte metropoli occidentali.
Abbiamo cercato di raccogliere qualche informazione in più sul disco che Rockerilla ha messo in cima alle proprie preferenze lo scorso mese di luglio e quel che segue è quanto lo stesso Mekonnen ha voluto dirci a tale riguardo…

Su Rockerilla di Settembre l’intervista di Elio Bussolino

 

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