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A PERFECT DAY FESTIVAL

Castello Scaligero, Villafranca di Verona (VR)

E’ un grande festival quello organizzato quest’anno da Eventi Verona e Vivo Concerti, nella suggestiva cornice del Castello Scaligero di Villafranca di Verona: line-up importantissime per tutti e 3 i giorni con (nei primi due) Killers, Temper Trap, Franz Ferdinand, Mogwai, Vaccines. Chi scrive ha avuto il privilegio di assistere al terzo e conclusivo giorno, il 3 settembre, quello del ritorno dei Sigur Ros in Italia.

Il Festival prevede già dal pomeriggio l’alternanza su uno stesso palco dei 4 gruppi in programma, dando così a tutti eguale visibilità e sebbene sia una scelta che apprezziamo dobbiamo rimarcare come luci e suoni siano evidentemente tarati per gli headliners islandesi, a scapito degli altri che li precedono. Di tale problema non soffrono troppo (vista la luce diurna) gli esordienti inglesi Alt-J, che intrattengono con il loro particolare hip-hop le avanguardie dei 12 mila spettatori presenti (sold-out), giunte a godersi il tepore pomeridiano e dell’ottima musica.

Musica, per noi ancora migliore, arriva poco dopo, con gli alfieri del rock belga, i dEUS, che regalano un concerto molto tirato, con tanti brani presi dagli ultimi due dischi Keep you close e Following sea; un Tom Barman in forma si ricorda anche dei fan della prima ora, chiudendo con Suds & Soda, una canzone ancora oggi bellissima e trascinante.

Di tutt’altro mood è lo show di Mark Lanegan, vero monumento ad un certo tipo di grunge e cantautorato americano, che sale sul palco dopo un lungo cambio (saranno tutti così). Lanegan nulla concede allo spettacolo, ondeggiando il viso senza mai staccarsi dall’asta del microfono da cui canta: le sue idee sono nella musica che propone, presa quasi tutta dall’ultimo Blues funeral, salvo un paio di brani degli Screaming Trees, regalo per chi, per dirla alla Offlaga Disco Pax, sa chi è.

Terminato Lanegan, quelli tra il pubblico che hanno una posizione avanzata la mantengono, quelli che possono la conquistano: c’è da assistere al ritorno della band mito degli ultimi 15 anni, i Sigur Ros nell’unica data italiana del tour di Valtari. Un disco che a tratti sembra una suite e il cui impatto, se proposto per intero, è tutto da indovinare.

Il concerto invece inizia con una Í Gær adibita ad intro, che mette subito in chiaro che si sta per assistere sì ad una cerimonia. ma anche ad un rodato e studiatissimo spettacolo, portato in scena centinaia di volte da musicisti esperti. Tale considerazione non va letta in maniera negativa: è solo un bene per lo spettatore che lo spettacolo a cui si assiste e si abbandona sia perfetto e che lui debba solo preoccuparsi delle emozioni, lasciando tutto il lavoro ai Sigur Ros, alle Amiina (ormai completamente integrate nel gruppo) e alle proiezioni.

Lo spettacolo funziona così com’è, non necessita di alternanza di pezzi nuovi e vecchi, di brani tirati e ballate (categorie fuori luogo trattandosi della musica dei Sigur Ros): possono quindi arrivare subito Ný Batterí, Svefn-g-englar, Sæglópur. Non è più un concerto, è un invito al sogno che Jónsi, cerimoniere in uniforme, officia e dirige con l’archetto della sua Fender. Quando, ben oltre la metà del concerto, suona il primo brano di Valtari, Varúð, l’integrazione è così perfetta che non pare strano a nessuno che il “disco da promuovere” arrivi così tardi nella scaletta.

L’encore, dopo una breve pausa, prevede l’altro riuscitissimo brano dell’ultimo disco, Ekki múkk, per riprendere subito quel flusso liquido di emozioni che le esigenze sceniche avevano interrotto. La chiusura spetta a Popplagið.

Terminata questa, l’inchino collettivo della band ci ringrazia e ci riporta alla realtà.

Roberto Esposti

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