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TODAYS FESTIVAL 2022 – DAY 3

Non avrebbe potuto concludersi meglio la tre giorni festivaliera del TOdays 2022, tornato ai fasti delle edizioni pre-pandemia con una programmazione che ha visto alternarsi giovani astri nascenti e consolidate realtà, in più casi in esclusiva nazionale. Di tutto encomio il lavoro svolto dagli organizzatori nel coordinare al meglio lo svolgimento degli eventi, senza poi dire della lungimiranza delle scelte artistico-musicali operate per l’occasione. Come ogni anno la periferia nord del capoluogo subalpino veste le luci festose della kermesse più celebrata fra le mete europee della cultura rock contemporanea. Un tripudio di apparizioni concertistiche culminato nella data finale del 28 agosto con quattro band chiamate a prestarsi sul grande palco all’aperto di sPAZIO211, fra cui gli scozzesi Arab Strap, i primi ad esibirsi di fronte ad un pubblico esultante e pieno di aspettative. Reduci dal successo di un ultimo stratosferico album quale As Days Get Dark, la formazione di Aidan Moffat e Malcolm Middleton non fatica a suscitare la nostra attenzione e a destare piaceri poli-sensoriali inesplicabili, in un rovello di tematiche forti e squarci contemplativi volti a scavare negli angoli bui della psiche umana, fra miseria e bellezza, eros e tanathos, desiderio e malinconia… Il taglio misantropico della loro scrittura non attenua minimamente l’impatto della prestazione, anzi aggiunge fascino alle ricercate tessiture strumentali e agli affreschi lirici del carismatico Moffat al canto. La sua voce scura e sensuale è una caverna di perdizione emotiva, fra Ian Curtis e Serge Gainsbourg, che turba ed incanta sin dalle prime battute dell’incantevole The Turning of Our Bones (dall’ultimo album), volta ad inaugurare un’esibizione strepitosa, per quanto ridimensionata nella scaletta secondo i tempi del festival. Dal vivo gli Arab Strap hanno un tiro pazzesco, grammatiche art rock e reviviscenze post-punk che si agitano nelle pieghe di una performance intrigante e immersiva come le trame di un noir d’autore, galvanizzata da schegge di chitarre taglienti, da tastiere siderali e una sezione basso-batteria mai così poderosa e ficcante, merito di una band affiatata e capace di prodezze narrative fuori dal comune. Un’ora volata via come il vento, incalzata da cavalli di battaglia come Fucking Little Bastards, Girls of Summer, New Birds, Don’t Ask Me to Dance, Fable of the Urban Fox, Blackness, ipnotizzata da giri armonici che da soli raccontano storie e annodano misteri tenendo costantemente col fiato sospeso. Non avremmo potuto pretendere di più da parte di una band ulteriormente cresciuta e determinata a lasciare il segno anche in sede live, tanto più nei ritmi ipnotici di The First Big Weekend, l’ultima meraviglia ‘adrenalinica’ di uno show indimenticabile come non mai.
A guadagnare la ribalta dopo il gig degli Arab Strap è toccato ai newyorkesi DIIV, considerati l’ultima big thing della scena indie rock e shoegaze internazionale, con all’attivo tre album, l’ultimo dei quali, Deceiver, ispirato al tema della rinascita. È su tali basi che il gruppo capeggiato da Zachary Cole Smith ha messo in campo tutte le energie di cui è capace, salutato in primis da una platea di virgulti plaudenti accalcati sotto il grande palco. Memorie Slowdive e lucori My Bloody Valentine che si affacciano fra note dei 13 anthem elettrici inanellati per l’occasione, regalando istanti di pura malia art pop.
Per la loro unica data italiana i britannici Yard Act hanno dato fuoco alle polveri di un’esibizione travolgente, capace di gettarsi tra i fili spinati della dissonanza e del funk-punk d’assalto, macinando orde di chitarre urlanti e viscerali, con un frontman indemoniato quale James Smith che arringa simpaticamente le masse, pronto a biascicare fonemi e metafore infarcite di satira e sapori urticanti. Dopo l’album rivelazione The Overload, la tribù di Leeds impressiona anche dal vivo sfoderando una dozzina di canzoni in odore di genio e sregolatezza, come molecole impazzite di un dettato armonico inesorabilmente irto e scomposto o come cariche di riff metallescenti gettate sulla faccia del pubblico imbizzarrito. Non poteva essere altrimenti.
È toccato ai Primal Scream dar corso al gran finale di questa settima edizione del TOdays. Il combo di Glasgow ha spaziato negli annali del suo repertorio noto, dedicando solo un paio di tracce all’iconico
Screamadelica, l’acclamato album del 1991 che ebbe a decretarne le fortune per entrare nei memoriali del rock alternativo che ha fatto storia. Data l’importanza del grande ritorno, ci saremmo aspettati qualcosa in più in termini di durata del concerto e scelta dei brani, con una set-list attinta in buona sostanza da dischi epocali come XTRMNTR, Evil Heat e Give Out but Don’t Give Up, più un paio di brani da altri capitoli, oltre alla suddetta doppietta da Screamadelica, ma tant’è. Ciò detto, l’urlo primordiale’ di Bobby Gillespie e soci non ha faticato ad arrivare dritto a destinazione anche questa volta, specie in alcuni frangenti psych della loro scrittura visionaria e intrisa di acido e sapori speziati. I Nostri hanno fra l’altro onorato la memoria del compianto Mark Lanegan recuperando in scaletta Deep Hit Of Morning Sun, brano che il musicista americano aveva rivisitato per un mini album a nome The Gutter Twins. Ad affiancare Gillespie in completo ‘screamadelico’ era una squadra di performer provetti, intenti a governare una miscela sonica alimentata da registri lisergici, tentazioni techno-trance, afflati Rolling Stones, movenze soul, profumi blues, umori Krautrock. Ad aprire le danze è la pulsante Swastika Eyes, teorema cinetico dalle indiscusse proprietà mescaline che fa subito breccia su muscoli e neuroni. Sostenute da muraglie chitarristiche al vetriolo, la successiva Skull X ammalia e deturpa senza soluzione di continuità. Il funky frontale di Pills e Exterminator fa del ritmo la sua forza ipnotico-ossessiva che folgora all’istante. Il blues notturno di English Town è sussurro melodico in una manciata di minuti avvolgenti, sorta d’interludio a largo respiro prima che i ritmi sincopati della stonesiana Jailbird tornino a picchiare senza requie, seguiti a ruota dai riff bluesistico-tentacolari della celeberrima Movin’ on Up. Se le dizioni shoegaze di Country Girl sconfinano nei territori del gospel innodico, le misure up tempo di Rocks si colorano di accattivanti gradazioni glam, mentre, opzionata come bis tattico di sicuro effetto, Loaded ha l’appeal del rito ipnotico-sublimizzante alla Sympathy For The Devil che cattura in una spirale di vibrazioni irresistibili, ma che alla fine lascia un po’ di amaro in bocca.


Aldo Chimenti

Foto: Loris Brunello

PRIMAL SCREAM, ARAB STRAP, DIIV, YARD ACT
28 agosto
2022

TOdays – Torino, sPAZIO211

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