Top

STEFANO BOLLANI

| Milano | Teatro alla Scala | 8 giugno

La straordinaria carica umana di Stefano Bollani unita a una tecnica sopraffina e a una capacità improvvisativa pressoché senza limiti fanno pensare a una sorta di reincarnazione di Fats Waller, con tutti i pericoli e i vantaggi che questo comporta: se da un lato la risposta entusiastica del pubblico è garantita fin dalle prime note, dall’altro l’esuberante teatralità del personaggio e l’istrionismo della sua proposta rischiano paradossalmente di mettere in ombra una intelligenza musicale purissima, da autentico cavallo di razza. La prima esibizione di Bollani sul palco della Scala del resto non poteva sottrarsi all’aspetto più accattivante e piacione della sua personalità artistica, entrato di prepotenza nella quotidianità delle famiglie italiane anche attraverso il mezzo televisivo in tempi recenti: l’occasione benefica – in favore del Progetto Arca Onlus, che da vent’anni esatti si fa carico dell’accoglienza di migliaia di persone in situazione di bisogno – attira una platea estremamente variegata, non per forza a suo agio con il lessico del jazz pur se pronta a dar fiducia alla proposta di una serata ampiamente sold-out. Dai palchi si percepisce subito come la maggior parte dei convenuti sia più o meno equamente divisa in due categorie: da un canto il pubblico abituale della Scala, inizialmente esterrefatto dall’approccio non convenzionale allo strumento – la gamba sinistra del pianista ripiegata sul panchetto sotto al sedere, la destra che spinge il pedale come una manetta del gas, le mani che affastellano note dai tasti e pizzicano le corde, ma in più recitano, mimano, si producono in esercizi ginnici; dall’altro i fans degli spettacoli con Caterina Guzzanti, in impaziente attesa dei numeri più amati come si trattasse dei tormentoni di un attore comico. Su tutto vince la musica, che può spiccare il volo dalla canzone francese o napoletana (bellissime le rielaborazioni di Que reste-t-il de nos amours e Anema e core), dal “Bollani carioca” o dagli standard americani, senza che si possa prevederne l’approdo, in quel magma sincretico tenuto assieme da una consapevolezza armonica di livello assoluto. E poi gli immancabili bis con il gioco dei dieci temi chiesti agli spettatori in sala, da legare in un patchwork immaginifico ricomposto al momento, Finché la barca va accanto a Satin Doll e Heidi appresso al Bolero di Ravel, dimostrazione di forza ma all’insegna del divertimento ludico, con le corrosive parodie di Battiato, Paolo Conte e Fred Bongusto (l’acclamatissima Mafalda) dall’intento bonario ma non troppo. Perché nello svelare la (presunta) monodimensionalità delle “vittime” ributtando loro addosso idioletti e cliché, Bollani sventola con ideologica convinzione lo stendardo della poliedricità e dell’eclettismo, trascinatore di folle fino in fondo.

ENRICO RAMUNNI 

ph Ambra Zeni

Bollani_Scala_Progetto-Arca_11 Bollani_Scala_Progetto-Arca_03 Bollani_Scala_Progetto-Arca_14 

Condividi