PORCUPINE TREE: LIVE PIAZZOLA SUL BRENTA (PD)
Con le sue affermazioni sulla possibilità che il tour a supporto dell’ultimo album potesse essere l’ultimo, Steven Wilson aveva fatto tremare i polsi ai fan, smorzando gli entusiasmi e le speranze legate alla recente reunion dei Porcupine Tree. Una provocazione? Una strategia di marketing sulla scia del “last tour ever” dei Kiss (infinito, più che ultimo)? O la pura verità? La scaletta, che concede molto spazio al passato, lascerebbe optare per la terza opzione; la più triste, ma anche la più coerente.
Durante le oltre due ore di performance, nella spettacolare cornice dell’ Anfiteatro Camerini, conosciuto anche come la Versailles del Veneto, la band inglese, ormai ridotta ufficialmente a un trio, con i soli Harrison e Barbieri ad accompagnare Wilson dopo l’uscita di Colin Edwin, ha attinto a piene mani ai 23 anni che separano Lightbulb Sun dall’ultimo Closure / Continuation, saltando a pié pari tutto il repertorio precedente.
Ad attirare l’attenzione dei 5000 accorsi da tutto il nord Italia è, però, un’altra assenza. Alle 21, a salire sul palco sono solo in quattro (Barbieri, Harrison, Wilson e il chitarrista Randy McStine). E il bassista? Nell’iniziale Blackest Eyes si sente ma non si vede. A togliere ogni dubbio, prima che l’intro funkeggiante del basso in Harridan renda troppo evidente l’elemento mancante, è Wilson stesso che, esaltando i miracoli della tecnologia, avvisa il pubblico: per problemi familiari, Nate Navarro non è con loro, sostituito da una serie di tracce pre-registrate. Un vero peccato, non tanto per l’assenza del bassista sul palco, quanto per il condizionamento che comporta, per i musicisti, suonare senza poter uscire mai dai binari. Non puoi sbagliare, né improvvisare, con il risultato di una performance troppo “perfetta”.
È anche vero che i musicisti presenti sono così bravi da ridurre al minimo le limitazioni di una situazione così vincolante, compensandole con una incredibile intensità unita a una tecnica impeccabile. Ma, sarà pure superfluo dirlo, non è la stessa cosa andare dietro a una linea di basso pre-registrata o avere sul palco un bassista in carne ed ossa. E, quando un guasto all’auricolare non gli permette più di sentire il “clic” del metronomo, Steven deve ricorrere all’artigianato, facendosi dare il tempo dal batterista, con conseguente perdita di tempo e siparietto annesso. Uno dei tanti della serata, ché Wilson, a dispetto dell’aspetto serio da nerd, è un tipo simpatico, alla mano. Ironizza sul fatto che il pubblico sia costretto a stare seduto, “esortandolo” a disobbedire (cosa che avverrà, spontaneamente, durante il bis); scherza sulla lunghezza eccessiva di alcuni brani, considerandola “un bene”; e si compiace, quando presenta l’ultimo brano, del fatto che la sua band non abbia una vera hit da suonare alla fine (“Non siamo Simon & Garfunkel, non abbiamo la nostra ‘The Sound of Silence’”), ma solo “un brano un po’ più noto degli altri” riferendosi a Trains.
Ma, a parte qualche battuta, è la musica l’assoluta protagonista della serata. Oltre due ore di salti temporali attraverso gli album più rappresentativi di Wilson & Co. (tolta la scontata presenza di buona parte del nuovo lavoro in studio): In Absentia, Deadwing e Fear of a Blank Planet (con sporadiche capatine in capo e coda a questo viaggio, Lightbulb Sun e The Incident). Ed è proprio con i due episodi tratti da quest’ultimo, il loro concept più visionario e vicino al metal (la lunga suite psichedelica Anesthetize e Sleep Together), che la performance raggiunge il suo apice d’intensità.
Sebbene non siano esattamente il prototipo delle rockstar, anche per i Porcupine Tree arriva il momento della gloria quando buona parte del pubblico, tra tante teste calve o canute, in piedi, intona parte del testo di Halo e Trains. Il modo più bello per salutarsi. Per l’ultima volta?
Daniele Follero
Anfiteatro Camerini – Piazzola Live Festival – Piazzola sul Brenta (PD)
25 Giugno 2023
Foto di Rudy Filippini