Top

PETER HOOK & THE LIGHT

Brescia | Latteria Molloy | 11 dicembre

Peter è un’istituzione, ma non fa pesare i proprio ruolo. Ecco così che il concerto in programma alla Latteria Molloy di Brescia inizia con una puntualità quasi perfetta, e non delude le attese.

I primi minuti sono dedicati al repertorio New Order: sopra tutto spicca il miracoloso giro di Age of Consent, brano di apertura del capolavoro Power, Corruption & Lies. Il pubblico, vasto ed eterogeneo anche in termini di età (il celebre “culto senza nome” degli anni post-punk oggi sembra svanito: non si vedono molti devoti, ma “solo” appassionati che vivono il mondo Joy Division con più serenità), gradisce i ritmi danzanti sposati alle malinoniche melodie di Hook.

Dopo una breve pausa, tocca a Closer, riproposto nella sua interezza. Peter ha il merito di non sfidare l’impossibile (ovvero, provare ad avvicinare le capacità interpretative di Ian Curtis): rimane fedele al proprio timbro e al proprio stile. Il che non sempre funziona alla perfezione (colpa forse anche di una voce mixata un po’ “bassa”), ma basta ed avanza per allietare il pubblico.

La chitarra sventrata di Atrocity Exibition prelude al gelo laminato di Isolation, il cui giro di basso – groovy ancorché sinistro – trascina i giovani in un pogo divertito e solo apparentemente fuori luogo (questi sono i Joy Division, ti verrebbe da pensare, non gli AC/DC: ma tant’è).

L’atmosfera diventa più sulfurea e religiosa quando il quartetto si muove verso i brani conclusivi: il rock pesante di Colony (quasi dei Black Sabbath in crisi di nervi), la trance depressa della meravigliosa Heart and Soul, i fumi densi della dolcissima ballata The Eternal (forse il capolavoro definitivo di Curtis); infine, l’inquietante Decades, con il sintetizzatore che retrocede di qualche passo, rispetto alla versione su disco, e che pure rimane agghiacciante, mentre la band rallenta come un motore stanco morto, che si spegne piano piano. La resa di ogni brano è notevole, nonostante sia impossibile non solo riprodurre l’ancestrale buco nero della voce di Curtis, ma anche la spazializzazione dei suoni del disco (forte di una produzione per l’epoca rivoluzionaria, e ancora oggi clamorosa in termini di fisicità: la famosa “Interzone” di Hannett).

Unknown Pleasures viene a sua volta restituito nella sua vastità, ancorché i brani risultino forse un po’ “smunti”, più trad-rock rispetto alle versioni immortalate sul disco. Il giro di Disorder, fra le cose più grandi della carriera dei Joy Division, esalta l’energia del pubblico, così come la frenesia di She’s Lost Control. Altri momenti imprescindibili sono l’agonia nerissima di I Remember Nothing e l’epos disperata del capolavoro New Dawn Fades, summa del decadentismo lucido di Curtis.

Il momento più atteso dai giovanissimi presenti arriva proprio sulla linea del traguardo, quando Hook intona una versione credibile della celeberrima Love Will Tear Us Apart, scatenando danze scomposte.

Concludo: un omaggio doveroso, che restituisce la potenza espressiva inarrivabile dei ragazzi di Manchester. Peter ha ancora la stessa energia dell’epoca, e sembra decisamente credere in quello che sta facendo. Anche solo per questo, non posso che promuoverlo a pieni voti: la quieta disperazione della sua epoca d’oro e la solennità religiosa – eppure intima – dei capolavori della sua prima band rivivono per due ore abbondanti, ed è una gioia per le orecchie.

Francesco Buffoli

Peter_Hook_1350392721_crop_550x303

Condividi