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P.I.L.

10 Ottobre 2015 | Rivolta | Marghera (Ve)

Davvero ghiotta l’occasione di poter rivedere la creatura di John Lydon che torna in Italia per due date (Venezia e Milano) in concomitanza alla pubblicazione del nuovo album, What The World Needs Now. Dopo la performance, in quel di Azzano Decimo, del luglio 2011, è la seconda volta, nell’arco di soli quattro anni, che il Triveneto vede il quartetto inglese scendere nelle lande nordestine, che rispondono alla grande con un’affluenza imponente, con moltissime persone anche da regioni più lontane. Dopo il concerto di supporto degli Universal Sex Arena, che intrattengono il pubblico col loro scanzonatissimo garage rock pieno di rimandi sixties, tutta la platea si assiepa all’interno del mega-capannone del centro sociale veneziano per attendere l’ora X. Grazie ad una organizzazione di stampo inglese, i P.I.L. si presentano sul palco rispettando puntualmente la timetable annunciata delle 23.30. Con un Lydon vestito totalmente di nero, con abiti XXL in virtù della mole acquisita, un prete ossigenato dall’eccentrica riga in parte, che si porta un leggio per le sue folli declamazioni, la band è completata da Lu Edmonds (ex Damned) alla chitarra, Bruce Smith (ex Pop Group, Slits, Rip Rig & Panic) alla batteria, e Scott Firth al basso. L’inizio è con un paio di estratti dall’ultima release, Double Trouble e Know How, che ripropongono il crossover dei P.I.L. infarcito di ritmi sghembi dub, fughe chitarristiche noise e l’inconfondibile declamare di Lydon, che si presenta con una voce potente e isterica al punto giusto. È Il carburante che funge da propellente a This Is Not A Love Song, che infiamma il pubblico presentandosi con radicali e piacevoli cambiamenti a livello di arrangiamento introduttivo. Successivamente, com’era prevedibile, risultano più efficaci i brani classici del repertorio P.I.L., ovvero Disappointed, Death Disco, Warrior, con le inclinazioni dance di The Body a smuovere la platea. Della nuova release vengono eseguite Bettie Paige, The One e Corporate, ma il delirio avviene a fine set, quando vengono ripescate Chant, da quella folle opera che fu il Metal Box, e la dilatatissima Religion, disturbante ora come quando, nel 1978, rappresentava l’anthem dissacratorio di First Issue. Tre minuti di pausa dietro il backstatge, per poi tornare a sferrare il colpo finale: Public Image eseguita a rotta di collo con le prime file che pogano e qualcuno che vola sulle teste, e infine Rise, tribale e noise, il post punk che collide con i ritmi africani, Bill Laswell a braccetto con le chitarre metal e, anche se Lu Edmonds non è Steve Vai, la versione riesce benissimo anche questa volta. Possenti, efficaci, a tratti disturbanti: ancora una volta P.I.L. senza compromessi.

Emanuele Salvini

ph Daniele Cappelletto/ Sherwood Foto

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