di Riccardo Cavrioli
Manfredi Lamartina è uno stimato giornalista e musicista. In questa sede ci occupiamo del lato prettamente musicale, che da anni lo vede impegnato con il suo progetto Novanta. Dopo 3 anni di silenzio, la band torna a dare segni di vita con il pregevole EP Some Are Stars. Una chiacchierata di approfondimento era più che doverosa.
Nuovo EP dei Novanta, datato novembre 2019. La prima domanda è uno sguardo al passato della band. Sul tuo Bandcamp si trovano uscite datate 2011. Come valuti il percorso compiuto in questi anni e, ovviamente, anche il tuo approccio attuale? Sei più attento a determinati aspetti ora?
Quando ho iniziato a comporre le prime canzoni di Novanta venivo da altre situazioni musicali: un disco indie rock con i Moque (una band palermitana in cui ho militato per qualche anno) e diversi tentativi falliti di formare un gruppo che seguisse le mie velleità noise. Novanta è stato una sorta di ritirata strategica: avevo bisogno di suonare, ma non trovavo nessuno. Così ho iniziato a buttare giù idee e mi sono spostato in direzione di un dream pop strumentale casalingo, nel quale mi trovavo a mio agio. Le prime robe sono ingenue, piene di errori tecnici di registrazione, di mix, di tutto, ma le sento incollate alla mia pelle, quindi hanno un posto speciale nella mia vita. Disco dopo disco ho cercato di raddrizzare la rotta e di migliorare la qualità delle registrazioni, facendomi aiutare da gente più brava di me. Some Are Stars rappresenta il culmine di questo percorso di pulizia del suono.
Viene da chiedersi come mai siano passati così tanti anni dal tuo precedente (e ottimo) lavoro…
Ero arrivato a uno stallo creativo: quello che facevo non mi piaceva più. Subito dopo Hello we’re not enemies avevo già composto il brano che poi sarebbe diventato Lovers, ma era totalmente diverso, solo drum machine e synth. Non era un granché e avevo messo il provino nella cartella dedicata alle bozze dei brani irrisolti. Un giorno ho cancellato per sbaglio quella cartella: una trentina di pezzi sono andati in fumo. Così mi sono rimesso sotto e ho riarrangiato Lovers, in una forma molto simile a quella poi finita nell’EP, una sorta di bolero slowcore. È stato un brano importante per me perché mi ha fatto capire che c’era ancora margine per raccontare qualcosa che avesse un senso sul fronte Novanta. Ma prima di decidermi a incidere un nuovo lavoro sono passato attraverso i soliti ripensamenti di chi è sicuro solo della propria insoddisfazione.
Nel corso degli anni non hai mai disdegnato collaborazioni e “aiuti”. Anche in questo caso con Dario di Stella Diana e True Sleeper. Come nascono questi rapporti musicali, ora e in passato?
Non è facile chiedere a qualcuno di collaborare, perché solitamente gli si propongono canzoni incompiute e senza difese, che con un soffio si disintegrano. Ecco perché mi piace condividere queste bozze fragili con persone che conosco personalmente e che possono aiutarmi a individuare limiti e prospettive di ogni traccia. Nello specifico, Dario è il cantante e chitarrista degli Stella Diana, una delle migliori realtà dello shoegaze europeo. True Sleeper è il nuovo bel progetto di Marco Barzetti, ex Weird., un songwriter dream pop. In futuro mi piacerebbe fare qualcosa con Soot Sprite, una giovane artista britannica sempre di area dream pop.
Forse mai come in questo EP hai un suono così pieno e ricco di riverberi. È arrivato il momento di abbandonare il tuo lato più minimalista?
Direi di sì. È stato decisivo aver registrato i brani non più a casa mia, ma in uno studio vero e proprio, il Faro Recording Studio di Somma Lombardo, Varese. Cercavo un suono che fosse stratificato, pieno, totale: i riverberi sono difficili da gestire perché in un attimo ti ritrovi in un gran casino, quindi ci ho lavorato parecchio in studio, suono per suono. Avevo voglia di ballare un rock’n’roll nella nebbia, una sorta di punk per introversi che fosse coinvolgente senza essere invadente. Il minimalismo è bello, ma ogni tanto fare brani con una decina di chitarre dentro dà una certa soddisfazione.
Mi piace come le note stampa del tuo nuovo lavoro sostengano come i nuovi brani non abbiano via di mezzo, sono da ascoltare “a volumi bassissimi oppure altissimi“. Due facce di una sola medaglia?
Le canzoni non sono colonne sonore, non stanno mai in sottofondo senza un motivo: le canzoni sono pezzi di vita, sono parte integrante dei ricordi, dicono chi siamo e non mentono mai. I brani di Some Are Stars penso che si prestino a un tipo di ascolto che non ha mezze misure, proprio perché mi piace la musica empatica, quella che ti permette di non pensare a niente oppure di pensare a tutto, senza lasciarti mai in solitudine.
Agostino Financo Burgio è il tuo nuovo compagno di viaggio nel progetto Novanta. Come sei entrato in contatto con lui e cosa ti ha spinto ad abbracciare la sua presenza nella band?
Agostino è un mio caro amico, suonavamo insieme nei Moque, una dozzina d’anni fa ed è un musicista di cui mi fido ciecamente. Nel tempo ci siamo un po’ persi di vista perché vivevamo in città diverse, poi lui aveva altri progetti musicali, dagli Hank! a Nicolò Carnesi, con cui suona tuttora. Un paio d’anni fa si è trasferito a Milano, dove vivo, ed è scattato il click per fare di nuovo qualcosa insieme. Grazie a lui il suono di Novanta si è evoluto in qualcosa di più dinamico. Senza Agostino, Some Are Stars non sarebbe nato.
Ho visto che anche tu non hai resistito al fascino della pubblicazione, in edizione limitata, in cassetta. Dopo il vinile ormai la “mitica” cassetta sembra davvero essere tornata…
È la caratteristica di Seashell Records. Personalmente non sono un feticista della musica fisica. Però devo dire che la cassetta è sempre stata una reietta nel mercato discografico e tra i cosiddetti audiofili: meno affascinante del vinile, meno comoda dello streaming, la cassetta è uno strano ospite che non sai dove far accomodare. Già basta questo a rendermela simpatica. Ha anche un suono più caldo e rotondo di quanto dicano i puristi.
Il tuo blog (Shoegaze Blog) dedicato allo shoegaze è ormai un punto di riferimento per gli estimatori del genere, che non trovano solo i nomi principali ma usufruiscono anche del tuo costante lavoro di ricerca con i gruppi minori. Forse andare a scovare piccole perle musicali nascoste o sconosciute è ancora la cosa più emozionante?
Assolutamente sì. Purtroppo devo dire che noto molta attenzione per i soliti tre (Slowdive, My Bloody Valentine, Ride) e poca curiosità per i gruppi meno popolari (ma non meno emozionanti). È un peccato perché senza il lavoro costante di tante band che hanno tenuto acceso il fuoco dello shoegaze negli anni di latitanza dei big three, oggi non avremmo Ride e Slowdive in piena attività.
Se dovessi farci 3 nomi di band shoegaze che nel 2019 si sono distinte particolarmente chi citeresti?
I russi Blankenberge, che con More hanno realizzato il perfetto esempio di che cosa vuol dire suonare oggi shoegaze. Gli svedesi Wy: Softie è un bellissimo disco dream pop. E i nostri Rev Rev Rev: Kykeon è un lavoro psichedelico e affascinante.
Nuovo EP vuole anche dire possibilità di vederti in giro a suonare nel 2020? Hai in previsione di fare live o consideri Novanta un progetto maggiormente legato allo “studio”?
In passato ho fatto qualche concerto, in effetti adesso c’è l’intenzione di approfondire il discorso live. Sicuramente qualche data ci sarà.
L’ultima domanda è inevitabilmente sugli Smashing Pumpkins, band che tu adori. Sinceramente, avresti mai creduto in una reunion di 3/4 della band, in un disco e in un tour?
Devo dire che il tour della reunion dello scorso anno è stato sorprendente. Il concerto di Bologna del 2018 è stato uno dei più belli che abbia mai visto. Mi ha colpito molto Billy Corgan: quando ha attaccato con il primo brano, Disarm, sembrava quasi dire che lui non ha mai mentito, che quello che cantava era tutto vero.
NOVANTA
Some Are Stars Seashell
Ritroviamo con grande piacere i Novanta, progetto shoegaze di Manfredi Lamartina, vero esperto e profondo conoscitore della materia, come dimostra il suo ottimo blog. I Novanta si aprono a suoni più ampi e stratificati, chiarendo, in musica, il concetto di ceiling-gazing (parola che lo stesso autore usa per definire la propria musica): 4 brani in bilico tra suggestivo dream pop, post rock avvolgente e rumoroso alla Mogwai e synth-wave.
UN SONICO SOGNO. Riccardo Cavrioli