NEW ORDER + LIAM GILLICK
Il Nuovo Ordine del Nuovo Ordine di Aldo Chimenti
Ritorno in grande spolvero sull’ampio palco delle OGR (Officine Grandi Riparazioni) per i New Order di Bernard Sumner, la band nata sulle ceneri dei Joy Division dopo il tragico epilogo. Di nuova concezione lo show commissionato dal Manchester International Festival e intitolato ∑(No,12k,Lg,18Ogr) New Order + Liam Gillick: So It Goes.., dove spicca la presenza di una formazione ampliata ed un approccio agli strumenti decisamente rinnovato rispetto a come lo ricordavamo nel loro status di icona post-punk per eccellenza. A delineare il nuovo corso dei Nostri è una sorta di restyling tecnologico che parte dalle strutture sonore (ridisegnate con la complicità del compositore/arrangiatore Joe Duddell) e che termina nei moderni allestimenti di scena ideati dal visual artist Liam Gillick.
Peter Hook se n’è andato già da un pezzo per seguire la sua strada e celebrare gli anniversari dei Joy Division e dei New Order a modo suo, un vuoto mai colmato nonostante le innegabili capacità del nuovo bassista. Le chitarre conservano il proprio ruolo, così come i tamburi di Stephen Morris e le tastiere di Gillian Gilbert, ma a tenere banco è un’orchestra di 12 sintetisti che campiona i suoni originali del gruppo rimaneggiandoli a dovere. Quello che la sera del 5 maggio avevamo di fronte era un nucleo di artisti proiettati nel futuro, con un approccio musicale a predominanza elettronica che pulsava di ritmi matematici e di beat vorticosi il cui modello estetico rimanda all’eleganza teutonica dei Kraftwerk. Ma loro sono i New Order, gli eroi della nostra generazione sedotta dalla ‘nuova onda’ che nessuna metamorfosi in seno all’organico, nessuna svolta espressiva e metodo compositivo cavalcati dall’Ordine potranno mai cancellare dai database della nostra umana memoria. Neppure questa inedita incarnazione da club alternativo votata ad altre logiche, dove la voce screziata di Sumner è comunque chiamata a dispensare emozioni sublimi e melodie indimenticabili come quelle riecheggiate dalle atemporali Disorder e Decades, le uniche due concessioni dal repertorio dei Joy Division. In verità ci saremmo aspettatati una selezione di brani più ampia e rievocativa (peraltro totalmente dimentica di Movement), ma il programma è parso più come un’operazione di sintesi funzionale alle dinamiche dello spettacolo in sé che un momento di solennità da lasciare a futura memoria. Una scaletta epurata di gemme epocali quali Ceremony, Procession, Everything’s Gone Green, Dreams Never End, Chosen Time, Denial, Temptation, Confusion, True Faith e perfino della hit delle hit Blue Monday che dal vivo non osiamo immaginare quanto avrebbero spaccato.
Concerto bellissimo intendiamoci, incalzato da stratosfere di ritmiche mozzafiato e prestazioni da manuale macinate sulle metriche vibranti di Who’s Joe?, Dream Attack, Disorder, Ultraviolence, Behind Closed Doors, All Day Long, Shellshock, Guilt Is A Useless Emotion, Sub-culture, Bizarre Love Triangle, Vanishing Point, Plastic, Your Silent Face e l’immensa Decades, oltre ai riadattamenti ‘orchestrali’ (impiegati come intro) di Elegia e Times Change. Ma tant’è.
Le cose cambiano ma il mito rimane.
Torino | 3 maggio 2018 | OGR
ph Loris Brunello