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MINISTRI

Per un passato migliore

Godzillamarket

 

L’esplosione non c’è stata. La aspettavano un po’ tutti, già al varco del secondo album, con il passaggio su major – una volta funzionava così, con le bande di belle promesse. E invece niente, almeno a sentire i tipi grigi della stampa specializzata, non necessariamente il primo riferimento per chi ascolta i Ministri. A favore del trio meneghino va però detto che ha saputo raccogliere a sé un pubblico giovanissimo e affezionato, a prescindere dalle spinte di chi “se ne intende”. E, alla faccia di questi altri, Per un passato migliore, ultimo di quattro dischi, rimanda un’altra volta l’appuntamento con l’agognata maturità, confermando pregi e limiti della formula. A distanza di sicurezza da intellettualismi e pose da indierocker professionisti, ci sono i testi intelligenti e quasi mai auto-compiaciuti (eccetto, magari, qualche passaggio ad effetto in La Pista Anarchica) di Federico Dragogna, uno spiccato senso per la “melodia che acchiappa” e un immaginario molto contemporaneo, ovvero quello del no-futurismo obbligato di chi nella crisi ci è nato con tutti i piedi (Mille Settimane). Anche per coerenza con l’idea, la musica (e veniamo ai limiti) resta sempre quella che è, un rock pestone privo di fronzoli ma anche senza troppo spazio di manovra o evoluzione. Si “spinge”, si urla e poi si muore, prima regola del precario esistenziale. Quando ti rinnovano il contratto però, sarebbe il caso di inventarsi qualcosa in più.

Simone Dotto

 

 

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