MASSIVE ATTACK A FERRARA – IL REPORT
Ferrara Summer Festival – Ferrara
19 Giugno 2025
A cura di Daniele Follero
(Foto di Niska Tognon della data di Milano)
“È molto bello essere tifosi del Napoli!” Robert Del Naja saluta così il pubblico ferrarese, tra lo stupore di molti e le urla inorgoglite dei partenopei presenti, colti di sorpresa almeno quanto gli altri. Un errore? Possibile che, un napoletano di origini come Del Naja, effettivamente tifoso della squadra azzurra, non sappia di essere a Ferrara? Città, peraltro, con una squadra sull’orlo del fallimento dopo lo storico ritorno in Serie A di qualche anno fa. Una trovata dadaista? Di sicuro, un saluto spiazzante, così come l’ingresso dei musicisti, che partono con la beffarda hit dance In My Mind di Gigi D’Agostino, soprattutto nel contesto di uno show che lascia poco spazio all’ironia e molto alla politica. Sullo schermo, per tutta la durata del concerto scorrono immagini di guerre, fabbriche di armi, bambini che estraggono a mani nude il coltan e il cobalto in Congo, accompagnate da frasi lapidarie o brevi spiegazioni, dati statistici, algoritmi, chiaramente orientati alla denuncia sociale e ad una posizione ecologista militante (da cui è nata l’idea del concerto a basso impatto sperimentato a Bristol). La questione palestinese è al centro di queste denunce e la posizione della band appare inequivocabile, così come quella del pubblico. Ogni volta che compare il volto di Netanyahu, dalla platea si levano fischi ed espressioni di disapprovazione e quando Del Naja accenna al genocidio di Gaza compare un’enorme bandiera della Palestina, acclamata dalla folla.

I Massive Attack, ovvero Robert “3D” Del Naja e Grant “Daddy G” Marshall, sono arrivati a Ferrara per la seconda di cinque date italiane, accompagnati da una band e da alcuni guest d’eccezione: Elizabeth Frazer, Horace Handy e Deborah Miller. Ottime premesse, non ripagate appieno da una piazza piena solo per metà, ma confermate dalla band con una performance cui non si poteva chiedere di meglio. L’approccio chitarristico, che aveva portato alla rottura con Mushroom ai tempi di Mezzanine, è alla base dello show. E non è un caso che in scaletta siano presenti ben sei brani tratti dal celebre album del ’98, quello che li ha definitivamente consacrati al pubblico del rock, mentre non c’è traccia alcuna di Protection. Ad aprire le danze è Risingson, seguita da Girl I Love You, unica incursione nell’ultimo album del duo, Heligoland, risalente ormai a quindici anni fa. Poi, arriva il momento di Elizabeth Frazer. La sua voce non è invecchiata come, invece, il suo volto, e con Black Milk riesce a trasmettere le stesse sensazioni, cupe e delicate, di quando era ancora una ragazza giovane e affascinante.
E al timbro vocale etereo e sognante della ex Cocteau Twins, è affidata anche la commovente Song to the Siren di Tim Buckley, proprio come ai tempi di It’ll End in Tears del progetto targato 4AD This Mortal Coil.

A smorzare la tensione, dopo un’ipnotica e tiratissima Inertia Creeps, è l’improvviso cambio di registro, dalle sonorità trip hop al post punk, con la cover di ROckwrok degli Ultravox. Horace Handy compare sul palco a più riprese, ma la sua interpretazione di un’intensissima Angel è tra i momenti più belli e significativi di tutta la serata e merita il fermo immagine. A Deborah Miller tocca, invece, far dimenticare la vibrante voce della Nelson in Safe From Harm e Unfinished Sympathy, unica parte dello show in cui gli strumentisti si ritirano per lasciare il posto alle “macchine”. Un tuffo nel passato remoto di Blue Lines, momento-nostalgia per i tantissimi cinquantenni presenti.
Le emozioni si susseguono contrastanti, stimolate da immagini poco rassicuranti, fino al gran finale, ancora una volta segnato dalla voce della Frazer, con la chiusura travolgente di Teardrop, seguita da una Group Four che risuona ancora nelle orecchie del pubblico quando, verso le 23,30, si riaccendono le luci. Chiamatelo pure revival, se volete. Le novità sono altrove. Ma la magia, quella resta.