
MARTI
Andrea Bruschi narra la vita, come un John Cassavetes nel corpo di Christopher Walken. La presentazione di King of the Minibar, a chiusura della trilogia nata con Unmade Beds (2006) e proseguita con Better Mistakes (2011), è la scusa per farsi ri-attraversare dall’onda sonora ri-generata dallo straordinario ensemblement musico-scenografico. Marti posa sotto i riflettori come Humphrey Bogart, non si mostra beato, lui è la beatitudine. E parlo di Marti come di un unico corpo, che si flette, si modella, appare e scompare e urla a gran voce la propria concretezza, attraverso note di strumenti classici ed elettronici (electricity), animando salti temporali solstiziali, accorciando il tempo e disperdendo i paragoni, come se la musica fosse nata qui ed oggi, insieme a tutta la sua storia. Si narra di uomini e donne, di minuscoli esseri in grandi abiti di scena nella vita di tutti i giorni. Andrea Bruschi respira musica, cinema e arte (leggetevi la sua storia per capire quale diavoleria permetta ad “altri” di emergere), penetra l’aria e dona rose senza spine. Archi, sax, chitarre, piano, synths, sax, contrabbasso, James Cook ha parlato all’anima di Marti donandogli quelle sonorità wave e pop dei dischi inglesi e tedeschi di fine anni 70’ inizio 80’ senza stra-volgere il marchio di fabbrica. Melodramma pop e avant-garde di un attore-autore a cui basta schioccare le dita per mutare lo scenario. E se David Lynch volesse davvero proseguire la sua cavalcata onirica? Al Roadhouse c’è spazio per Marti.
Matteo S. Chamey
Milano | Circolo Ohibò | 27 dicembre