MARK LANEGAN I’ll Take Care of You
Un ricordo di Paolo Dordi
Il primo ricordo che emerge è racchiuso in una cassetta Basf da sessanta. Siamo all’inizio degli anni ’90 e The Winding Sheet, il primo album solista di Mark Lanegan, si era dimostrato capace di spargere oscure suggestioni. Era stato più facile, subito dopo, riconoscerlo nella colonna sonora di Single di Cameron Crowe. Un film leggero e divertente, capace di coinvolgere tutta la scena grunge dell’epoca (memorabile la scena con i Pearl Jam seduti davanti a un documentario sulle api!). Nearly Lost You era un brano tutt’altro che perfetto, ma ideale per entrare nel grunge dalla porta di servizio. La voce graffiante di Lanegan, la sua immersione profonda nel blues più scuro lottava con una propensione ad abusi esiziali. Però quella musica era diversa da quella che si ascoltava in quegli anni e possedeva un senso disperato di esistere e affermarsi. Detto fatto: con Whiskey For The Holy Ghost si può già parlare di capolavoro. La propensione di Lanegan alla condivisone nasce da qui: i lisergici e alterati Mad Season di Layne Staley da un lato, un disco di cover meraviglioso come I’ll Take Care Of You dall’altro, sospeso tra folk e blues e con una canzone su tutte: l’accorata Shilow Town di Tim Hardin). Il nuovo millennio si porta in dote un album strepitoso. É tutto perfetto: il drumming impetuoso, l’ironia che scorre sotto le chitarre nerissime, certe melodie dalla bellezza commovente e quella voce capace di lasciare immediatamente il segno. Ecco Songs For The Deaf dei Queens Of The Stone Age. Né rock, né stoner, semplicemente uno dei dischi che ascolteremo ancora tra dieci anni. Sempre in movimento e in cerca di nuove suggestioni, Lanegan mette da parte la Mark Lanegan Band per la collaborazione con Greg Dully e il progetto Gutter Twins. In quell’occasione lo incontrai di persona. Giustamente intimorito mi avvicinai al tour bus. Il tour manager mi concesse venti minuti che solo all’apparenza possono sembrare pochi. Dentro era quasi buio. Il divanetto sul fondo era cosparso di mozziconi e di mutande non proprio fresche di bucato. Lanegan cominciò a rispondere alle mie domande col viso abbassato e senza mai superare le sei parole. Dulli ridacchiava e mi invitava a tenere duro fino a quando, in un attimo, si alzò e ci lasciò soli. Parlammo poco di passato, molto di più dei progetti futuri, della stima assoluta per Isobel Campbell, del suo amore per il folk, della stanchezza emotiva e fisica ma anche di quella fiamma che alimentava la sua vita. Che ogni disco rappresentava le emozioni che stava vivendo in quel momento e che quello, tutto sommato, era un bel momento. Ed è proprio nelle collaborazioni con Dulli e Campbell che Lanegan continua ad avere successo. Le sue sono emozioni che continuano a scavare nel profondo e che allo stesso tempo si mantengono in un luogo insicuro e insalubre. Saturnalia è l’album che meglio di tutti descrive questi anni. Ma non finisce qui: riesce anche a far calzare la sua voce con l’elettronica dei Soulsavers dando alla luce un album sorprendente. Blues Funeralcontinua nella scia dei suoi album migliori e Moby, Warpaint, XX, Slash (!), Josh Homme, Massive Attack e Tinariwen sono solo alcuni degli artisti con i quali ha collaborato negli ultimi dieci anni. Somebody’s Knocking e Straight Songs Of Sorrow chiudono il sipario. Non ci sarà più un nuovo album di Mark Lanegan. Una perdita che ancora lascia storditi e che non riusciamo ad accettare. Resta una voce e il privilegio di avere seguito la storia della sua vita attraverso le sue canzoni. Oggi non ci basta, ma il futuro rimetterà le cose a posto. Fai buon viaggio, Mark.
