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L’apocalisse dei vinili è una fake news

Tra gli appassionati di musica e i collezionisti di vinile in questi giorni tiene banco la notizia del grave incendio che ha colpito lo stabilimento della Apollo Masters a Banning, California, lo scorso giovedì 6 febbraio. Molti hanno riferito la notizia esprimendo la grande preoccupazione che questo grave disastro avrebbe potuto compromettere la produzione mondiale di vinili. In effetti la preoccupazione ha un fondamento in quanto la Apollo Masters è una delle due grandi aziende, l’altra è la giapponese MDC, a produrre acetati, ossia i dischi vergini da cui vengono ricavati i master per la stampa dei dischi in vinile.

Proviamo a mettere un po’ di ordine: il problema non è la produzione mondiale di vinile per la stampa di dischi, ma semmai la produzione di acetati. Attualmente la produzione di vinile a livello mondiale è sostenuta per la quasi totalità da aziende del sud est asiatico. In particolare più della metà del cloruro di polivinile (PVC) utilizzato dai produttori di dischi proviene da una società thailandese, la Chemicals Public Company Limited (TPC) con sede a Bangkok. Il processo di produzione del vinile è complicato e, come tutte le industrie petrolchimiche, può avere un impatto negativo sull’ambiente. Ciò ha fatto si che le aziende produttrici di vinile, per gli elevati costi di adeguamento alle normative ambientali dei paesi sviluppati, pian piano scomparissero o spostassero la propria produzione nei paesi in cui i controlli erano minori e le legislazioni più favorevoli. A questo proposito si consiglia di leggere l’articolo pubblicato dal Post, sull’impatto ambientale dell’industria musicale, frutto di uno studio fatto dal professore Kyle Devine, docente al dipartimento di musicologia dell’Università di Oslo che ha scritto un libro sul tema intitolato “Decomposed”.

Quindi, tornando alla preoccupazione per la produzione di vinile, i timori e gli allarmi sono a nostro avviso eccessivi. In primis tutte le aziende che stampano vinile hanno scorte di acetati sufficienti a sopportare un breve periodo di difficoltà. Poi l’azienda andata distrutta aveva comunque magazzini di prodotto pronto da distribuire, che non sono andati distrutti dal rogo. Infine, terzo elemento, che dovrebbe tranquillizzare tutti gli appassionati di vinile, l’altra grande industria produttrice è giapponese, e non sbagliamo a confidare nella capacità dei Giapponesi di approfittare della situazione per incrementare la propria produzione e acquisire fette di mercato a scapito dei cugini americani. Gianni Tarello

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