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KAMASI WASHINGTON

Torino | OGR – Club To Club | 2 novembre

Kamasi Washington si è fatto un nome com’era giusto che fosse, specialmente dopo aver spopolato nel 2015 con quel monumento all’estetica del jazz colto chiamato The Epic, un’opera che dire titanica è quanto meno appropriato non soltanto per il suo generoso minutaggio, ma per il maestoso lavoro di costruzione ‘epica’ sulle partiture. Una prova che seppe coinvolgere perfino chi, come il sottoscritto, non possa dirsi esattamente un cultore accanito della dissonanza jazz. È anche vero che il musicista californiano ama prodigarsi sulle armoniche complesse, sulle tecniche multistrato del contrappunto e della frase musicale, sull’espediente della diffrazione e della commistione stilistica che si estende ai territori del funky, del soul, del free jazz, dei ritmi caraibici e della danza tribale alla Fela Kuti, il tutto pervaso di tinte visionarie per non dire psichedeliche. Quale sperimentatore audace e virtuoso del sax tenore, Kamasi Washington ha dalla sua una peculiarità di intuizioni espressive tali da renderlo unico e inimitabile, intuizioni che dal vivo, la sera del 2 novembre alle OGR (per la diciassettesima edizione di Club To Club in programma dall’1 al 7 novembre 2017 nei giorni della Contemporary Art Week, per l’occasione sottotitolata Cheek To Cheek, ad evocare il valore del contatto umano come appunto l’atto del ballare guancia a guancia), sono emerse a tutto campo. Ad affiancarlo era la sua band di battitori e tiratori provetti, incluso il padre di Kamasi medesimo, Rickey Washington, al sax soprano e flauto traverso. Un combo di otto elementi in tutto contando l’acrobatico tastierista (Brandon Coleman) che sopperiva largamente all’assenza degli archi, l’impressionante trombonista Ryan Porter, i due ciclopici batteristi, artefici in corso d’opera di un assolo-duello vertiginoso, e l’avvenente vocalist-danzatrice in preda ai suoi deliri estatici. Un’esibizione semplicemente spettacolare, plaudita da un pubblico numeroso per quasi due ore di prodezze strumentali ininterrotte, dove le luci e le ombre, i toni e i semitoni della scala cromatica s’incontravano, intersecavano e scontravano in una sinergia di pulsazioni e movimenti coordinatissimi, attraversati da forze vibrazionali plurime, da metriche spigolose, da esplosioni viscerali, da solenni aperture melodiche, da adagi, pieni, ponti, stacchi e crescendo da fare impazzire il sangue nelle vene. Oltre al vecchio repertorio, il live set comprendeva brani dall’ultimo EP Harmony Of Difference, altra gemma d’autore, salutata da unanimi consensi, che vede le potenzialità del Nostro attestarsi su coordinate di prima grandezza oltremodo tangibili. Neppure sul palco il talento dell’artista – tunica nera e immancabile medaglione sacro sul petto – ha faticato a brillare ed imporsi in tutta la sua presenza scenica, pronto a dirigere l’azione sollecitandola ad osare attraverso le variabili dell’improvvisazione e della jam session a briglie sciolte, a farla roteare, per un fenomeno di attività centrifughe in divenire, attorno al tema centrale della composizione, come a spremerne l’essenza sino all’ultima stilla. Questo facendo appello alle leve della fantasia e della straordinaria padronanza tecnica sullo strumento. Quel che si dice roba di Serie A.

Aldo Chimenti

 

Alla rassegna Club to Club di Torino, dedicata prevalentemente alla musica elettronica, fa capolino il gigante Kamasi Washington, meteora extraterrestre sul pianeta delle notti torinesi. E il suo passaggio lascia subito il segno. Alle 22:10 Kamasi sale sul palco con la sua band e, senza tanti convenevoli e fronzoli, attacca subito a suonare, lasciando per un attimo il pubblico disorientato per un avvio così “freddo”. Tempo zero e i protagonisti dello spettacolo si fanno perdonare, trascinando l’uditorio in una jam d’altri tempi. Impressiona vedere tra il pubblico giovani che si lasciano andare in balli irrefrenabili. L’atmosfera si riscalda e gli applausi del pubblico di Torino fanno capire a Kamasi e a suoi compari che l’accoglienza è delle più calorose. A quel punto anche il protagonista si scioglie e tra un brano e l’altro si concede intermezzi verbali e presentazioni.

Ad accompagnare il sassofonista ci sono i musicisti che hanno collaborato alla registrazione dell’ultimo EP, Harmony of difference: Ryan Porter al trombone, il padre di Kamasi, Rickey Washington, al flauto, Brandon Coleman alle tastiere, Miles Mosely al basso elettrico e contrabbasso, le due batterie di Ronald Bruner Jr. e Tony Austin e la voce di Thalma De Freitas. Il concerto propone una serie di brani tratti dal monumentale The Epic e un paio di composizioni dall’ultimo mini album, naturalmente completamente reinterpretate e rivisitate.

Del concerto colpiscono il grande affiatamento della band (i due batteristi riescono, senza pestarsi mai i piedi, a trovare i propri spazi e momenti espressivi), l’atmosfera di gran rispetto tra i musicisti e la coraggiosa scelta di proporre diversi linguaggi della musica black, soprattutto attraverso l’uso di sonorità diverse con le tastiere, dal piano tradizionale al piano elettrico fino ai sintetizzatori che richiamano gli Headhunters di Hancockiana memoria. In ogni caso è strabiliante la capacità della band di assorbire suoni e culture africane e afroamericane e tradurle con un linguaggio jazz contemporaneo e assolutamente nuovo. Chiudendo gli occhi a tratti si può sentire l’afrobeat di Fela Kuti che pulsa, la ritmica funky del sax di Maceo Parker, il soul jazz di Dexter Gordon o di Wayne Shorter e naturalmente la grande ombra del maestro Coltrane. Spettacolo strepitoso.

Gianni Tarello

 

ph Loris Brunello

Per motivi organizzativi le foto sono state realizzate il giorno precedente.

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