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JAPANESE NEW MUSIC FESTIVAL

Bologna | Locomotiv | 23 Ottobre

Tre musicisti, due band di riferimento (Ruins e Acid Mothers Temple) e otto diversi progetti ad alternarsi sul palco: è questo il “festival” che Tsuyama Atsushi, Kawabata Makoto e Tatsuya Yoshida stanno portando in giro per l’Europa, per la gioia di chi ha sempre provato a barcamenarsi tra le varie metamorfosi dei tre giapponesi. Un’idea geniale che, già dai presupposti, mette in luce tutta la carica ironica del trio. 

“Welcome to Japanese New Music Festival”, recitano, ad ogni nuova performance dal palco, i protagonisti dell’ insolito “festival”, fino a rendere la frase un ridicolo mantra recitato con il sorriso sulle labbra.

Davanti a non più di una cinquantina di persone, è il batterista dei Ruins Yoshida a rompere il ghiaccio con il progetto Ruins Alone, un’ esecuzione per sola batteria e basi elettroniche che mette in campo uno stile veloce e di una precisione sbalorditiva. Ma, il progressive tiratissimo dei Ruins è solo un assaggio di ciò che succederà di lì a poco.

Kawabata Makoto si presenta con il suo marchio di fabbrica: la chitarra fuzz noise più famosa dell’underground giapponese, simbolo degli Acid Mothers Temple. Il più teatrale è, invece, Tsuyama che, con il basso elettrico e un umorismo inesauribile, chiude le performance soliste introducendo gli Psyche Bugyo, ovvero… loro tre. Stavolta, però, insieme, si trasformano in un power trio che suona math rock.

Per circa due ore, i tre giapponesi si alternano, scambiandosi gli strumenti e saltando, con la disinvoltura degli artisti, tra mondi musicali imprevedibili: dal duo cageiano Akaten con Tsuyama e Yoshida (esilarante l’improvvisazione per spazzolini da denti amplificati!) al trio a cappella, Zubi Zuva X; per terminare con l’ultima formazione degli Acid Mothers Temple, cioé…loro tre. Gli stessi che, lasciano il palco definitivamente dopo aver concesso un veloce bis, portandosi dietro una scia di imprevedibilità che incolla il pubblico al suolo, in attesa eventuali altre sorprese. E ora, che succede? C’è bisogno di accendere le luci per sfatare ogni dubbio: stavolta il “festival” è davvero finito.

Daniele Follero

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