Incineration Fest
Londra | The Dome / Boston Music Room | 7-8 Maggio
Alla sua terza edizione, il festival londinese di metal estremo Incineration conquista lo status di evento irrinunciabile. Per la prima volta dall’esordio nel 2014, la parata di band di questa scaletta esclusiva si estende su due giornate. Dopo aver devastato il Garage, l’Electric Ballroom, l’Underworld e il Black Heart tra Islington e Camden nei due anni precedenti quest’anno è la volta di Tufnell Park. Incineration versione 2016 si svolge tra le mura di due venue frequentate assiduamente durante la stagione dei concerti, il Dome e il Boston Music Room, collegate tra di loro internamente tramite un passaggio all’aperto dove è disponibile un’area per il tradizionale barbecue inglese, perfetto per concedersi una sosta tra un concerto e l’altro. Il week-end parte con buone premesse grazie anche al clima che, per una volta, grazia il grigiore londinese con temperature che oscillano tra i 25 e i 27 gradi. L’atmosfera è esilarante, la marea di fans religiosamente in fila davanti ai cancelli già in tarda mattinata sfoggia le magliette delle band in programma con assoluta prevalenza di quelle dei Marduk. La formazione black svedese ha guadagnato meritatamente la posizione più prestigiosa tra le band previste, essendo gli headliner della giornata di chiusura mentre spetta ai connazionali Dark Funeral il ruolo di protagonisti della prima giornata. Con due band del calibro di questi due colossi, il divertimento è garantito.
Day one
L’apertura dei cancelli alle due in punto viene seguita dal set degli Atonement, progetto solista di Geoff Bradley che con il suo brutal death cupo e minaccioso riesce ad attirare una buona dose di presenti, nonostante sul palco ci sia solo lui con la sua chitarra e i gli innumerevoli samplers semi nascosti. L’apertura dei battenti forse un po’ troppo a rilento, viene seguita dall’esplosione dei londinesi Scutum Crux, riemersi dopo il silenzio degli ultimi anni con il loro metal estremo e sanguinolento. Il chitarrista e frontman Demiurge Abzu si lancia in attacchi di riff vorticosi che smuovono le acque, svegliando il pubblico. Questo set elettrizzante viene seguito da un’altra formazione inglese, quella dei Warcrab. La formazione di Plymouth conquista con uno sludge/doom ricco di attacchi death. Tanto di cappello al frontman Martyn Grant per la sua marcata presenza, il loro set prepara il pubblico per una delle band più attese dell’evento, i Lucifer’s Child di George Emmanuel (leggi Rotting Christ). Con l’arrivo della formazione greca, sulle prime note della sinistra Hors De Combat il pubblico esplode all’unisono, caricando il frontman Marios Dupont che si lancia in raffiche interminabili di vocalizzi pungenti. Dopo i set troppo ripetitivi degli Hecate Enthroned e dei Mithras è la volta dei norvegesi Tsjuder. Il trio black originario di Oslo si conferma come la performance più prestigiosa della giornata. Con il loro black sparato a volumi altissimi, lo squadrone guidato dal temerario Jan Erik Romøren, aka Nag nel ruolo di frontman e bassista conferma un sound senza mezze misure, devastante e monolitico. Dall’uscita del loro quinto full-length Antiliv i Tsjuder stanno riconquistando terreno: una conferma. I Dark Funeral partono alla grande con una traccia tutta nuova, Unchain My Soul, tratta dall’ultimo album Where Shadows Forever Reign in uscita il 3 giugno (nda: album del mese della sezione Heavy Sound di Rockerilla Maggio ‘16). L’intro trionfante della chitarra di sua eccellenza Lord Ahriman spicca per la micidiale alternanza di parti votate all’assalto frontale con altre più cadenzate e sulfuree, come nei loro classici My Funeral e Stigmata.
Day two
Le prime band non riprendono i ritmi accesi della giornata precedente ma ci pensano i belgi Saille con il loro black dall’impronta epica e dominante, reso ancora più possente dai vocalizzi del frontman Dennie Grondelaers, a riscaldare l’atmosfera. La torcia viene passata agli spagnoli di barcellona Foscor, un set che non passa inosservato nonostante ci si avvicini alla sequenza più attesa dell’evento, le ultime tre band della giornata (Origin, Immolation e Marduk). La formazione capitanata da un temerario Fiar passa la prova brillantemente grazie a una parata di dark prog altamente tecnico. C’è molta attesa per gli americani Origin e l’arrivo del frontman Jason Keyser presagisce un pericolo imminente: gli squarci di Expulsion Of Fury e Purgatory sono dei veri attacchi sonori, dove le chitarre straziate di Paul Ryan risaltano come il vero filo conduttore del sound brutale di questa band di tutto rispetto. Con Unattainable Zero in chiusura e il pubblico ammassato tra il palco e le barriere, l’atmosfera del Dome è all’apice e comincia il conto alla rovescia. Per i connazionali Immolation il Regno Unito è sempre stato una seconda patria: il loro death tradizionalmente stelle e strisce non delude mai e la band garantisce sempre un set che ha pochi rivali. Swarm Of Terror non conosce limiti in fatto di accelerazioni e ritmi pesanti, i vocalizzi di Ross Dolan sembrano urla provenienti direttamente dalle caverne più oscure e sono in sintonia perfetta con la velocità dei riff minacciosi di Robert Vigna e Bill Taylor. Majesty And Decay e A Spectacle Of Lies in chiusura sono semplicemente divine: un set indimenticabile. Arrivato il turno dei Marduk il pubblico si prepara all’assalto finale: dopo la sequenza bellicosa di Frontschwein e The Blonde Beast tracce di apertura dell’loro ultimo opus Frontschwein ci si rende conto di avere di fronte una formazione profondamente black. I blast-beats spietati di Fredrik Widigs salgono alle stelle nella bombastica Of Hell’s Fire. Riff violenti e cambi di tempo aggressivi della chitarra infuocata di Morgan “Evil” Steinmeyer Håkansson raggiungono l’apice in Azrael e nel cavallo di battaglia Materialized In Stone. I vocalizzi aspri e taglienti del frontman Mortuus trasformano la mitica Panzer Division Marduk in chiusura in un vero inno agli infieri. Il loro set è vera carneficina: i Marduk ancora una volta non deludono e confermano di avere la statura da veri headliners.
Fabiola Santini (testo e foto)