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IN FUGA DALLE PLAYLIST

di Mirco Salvadori

Il problema della lettura è che non finisce mai. L’altro giorno ero in libreria a sfogliare un volume che s’intitolava più o meno I 1001 libri da leggere prima di morire (e, senza fare nomi, devo dire che il compito imposto dal titolo è impossibile per definizione, visto che almeno 400 dei libri indicati ucciderebbero comunque), ma da lettura nasce lettura – è proprio questo il punto, no? – ed uno che non devia mai da un elenco prestabilito di libri è già intellettualmente mortoNick Hornby

Il punto è proprio questo, come ci dice il buon Nick, deviare dall’abitudine legata all’elenco continuodi cose da leggere o nel caso specifico da ascoltare, o soffocare avvolti in centinaia di titoli segnalati da altri lettori o nel caso specifico, da altri ascoltatori?

Ma veniamo a noi e collochiamo questa frase in un contesto esclusivamente musicale, i libri magicamente si trasformano in dischi che vengono inseriti nelle immancabili playlist, creature capaci di cambiare velocemente sembianza trasformandosi in infime fate giornaliere, agguerrite streghe settimanali, infernali mostri mensili e inimmaginabili devastanti e feroci cataclismi annuali che rubano pagine e pagine all’informazione costruita sulle interviste, gli articoli tematici e le recensioni.

Sia ben chiaro, queste righe non intendono occuparsi delle migliaia di playlist create tramite algoritmi o da tecnici specializzati pagati da Spotify, non siamo interessati. Il nostro interesse si focalizza sulle playlist dedicate al suono indipendente – sempre si possa ancora parlare di indipendenza musicale -, a quel mondo minoritario che si occupa di suono di qualità, lo stesso che viene trattato su queste pagine fin dalla fine degli anni ’70.

A mio avviso tre sono le variabili da tener presente. 

La prima riguarda una modalità completamente anomala e, per noi antichi navigatori nel mare magnum del suono, decisamente assurda. Le nuove generazioni saltano a piè pari l’oggetto contenente la musica, la materia prima che si sprigiona facendolo girare nel suo lettore, anche se ora sembra stia tornando nuovamente di moda il giradischi. L’approvvigionamento continuo di musica viene loro concesso dalla rete e l’uso che ne fanno è altamente confuso, per nulla creativo o formativo. Un brano di qua, un altro di là, l’ascolto non riesce a raggiungere la lunghezza di un album intero. Sembra che il problema legato alla mancanza di attenzione che attanaglia la maggioranza dei frequentatori della rete, abbia contagiato anche coloro che internet lo usano per gli ascolti rendendo liquida, al limite del virtuale, la loro frequentazione musicale. 

L’altra variabile riguarda i compilatori di playlist. Chi sono? Perché sentono il bisogno irrefrenabile di rendere pubblico il loro percorso annuale di ascolto e lo fanno numerando in ordine crescente ogni disco? 

L’ultima variabile è il disco stesso. Ho avuto la fortuna di vivere in tempi nei quali l’uscita dei nuovi vinili rappresentava realmente un’esplosione di creatività legata all’innovazione sonora. In quel periodo il disco era Il Disco, si ascoltava per intero e nella maggior parte dei casi, ogni singola traccia che lo componeva era degna di un ascolto in repeat. Oggigiorno il confronto con questi fenomeni è raro assai e quando avviene sembra si verifichi un vero e proprio miracolo.

Ecco quindi che, elencate le variabili, cerco di trarre le conclusioni.

La fruizione dell’ascolto è radicalmente cambiata, il cerimoniale del vinile estratto dalla busta o del CD inserito nel lettore che lo ingoia è decisamente finito. Riguarda una ristretta cerchia di appassionati che non sanno rinunciare alla bellezza del tatto, all’odore del vinile, che non riescono a staccarsi dall’attesa dell’ondata di suono che si sprigionerà da un ennesimo supporto appena giunto in casa ad aumentare il numero di feticci intoccabili infilati nella libreria musicale, quella fisica ben s’intende. Agli altri, a tutti coloro che usano la musica come fosse un portachiavi attaccato alla cinta, poco può importare di una playlist annuale. Possono avere qualsiasi canzone vogliono nel giro di un nano secondo, a che pro attendere.

Giungiamo ai personaggi che scrivono di musica, di dischi, i miei colleghi belli e brutti, bravi e meno bravi, simpatici o insopportabili, famosi o sconosciuti, i famigerati compilatori di playlist. 

Da sempre cerco di spiegare che una playlist pubblicata da un giornalista musicale non è la Bibbia. Prima di essere un giornalista, chi scrive è un ascoltatore così come lo sono tutti coloro che lo leggono. È un individuo con dei gusti propri, non sempre condivisibili. È una persona che magari ascolta una quantità maggiore di musica ma che non stringe la verità nella mano. Ho sempre trovato disdicevole il comportamento da stelle del cinema di alcuni addetti ai lavori che si sentono forse al di sopra di qualsiasi critica ma non si rendono conto che al pari di tutti noi loro colleghi o ascoltatori, sguazzano in un piccolo stagno musicale di confine all’interno di un altrettanto piccolo acquitrino musicale chiamato Italia. È questo che dovrebbe esser compreso anche da chi sembra non possa vivere senza la playlist annuale firmata dal giornalista di turno. Ognuno è in grado di crearsi la propria lista di ascolti, basta mantenere la curiosità, insistere nel viaggio dentro questo mondo in continua crisi e scoprire, magari a distanza di tempo, quei nomi e quei dischi che soddisfano il proprio ascolto. Il suono non ha scadenza, è direttamente legato al nostro sentire interiore. Già questo basterebbe per rendere inutile qualsiasi playlist legata al tempo.

Per finire, come accennavo prima, credo sia ben difficile elencare una decina di album recenti che riescano a reggere alla prova ascolto generale. Credo il problema non riguardi il musicista o il sound artist che lo produce ma la realtà nella quale siamo immersi. Tutto è stato detto e ridetto modificandolo e stravolgendolo, sia nel rock ma anche nella materia sonica. 

Cerchiamo quindi di essere coscienti di questo e procediamo lungo il percorso incerto e magnifico dell’ascolto di qualità, consapevoli che la fuga dalle playlist può aiutarci a crescere in piena autonomia, ridimensionando la figura mitica del giornalista saccente, creando quello scambio alla pari ora inesistente tra addetto ai lavori e ascoltatore. 

“I dischi sono inanimati finché non metti la puntina sul solco: solo allora riprendono vita”,seguite il consiglio di Clarence*, fatelo! 

*Evan Eisemberg – l’Angelo con il fonografo – Instar Libri 1997

Questo articolo è uno dei focus 2019 pubblicato su Rockerilla Dicembre 2019

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