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I mondi e antimondi di UMBERTO MARIA GIARDINII

di Alessandro Berselli

ph Guido De Vincentis

Sono passati 25 anni da quando Umberto Maria Giardini, con il nome di Moltheni, irrompeva nella stimolante scena indipendente di fine secolo con un album, Natura in replay, che a una grande maturità strumentale, merce rara per un’opera prima, univa un originale universo lirico, in perfetto equilibro tra intimismo dolente e graffiante poetica surrealista.

In tutto questo tempo quell’esordio sbalorditivo si è dimostrato capace di crescere in maniera impressionante, mantenendo una coerenza musicale e (soprattutto) morale difficile da riscontrare in uno showbiz sempre più incline al compromesso, allo svilimento dell’ingegno, alla mercificazione e monetizzazione del gesto artistico.

A dischi introspettivi, acustici, lontani dalle logiche di mercato, se ne sono alternati altri più elettrici, ruvidi, urticanti, come Fiducia nel nulla migliore, con la monumentale Il bowling o il sesso? (a tutt’oggi una delle migliori canzoni rock italiane di sempre) e collaborazioni esterne informate ogni volta da una condizione irrinunciabile, quella di rispondere solo ed esclusivamente alle personali urgenze, senza svendere nulla del proprio talento.

Il 2024 è stato un anno importante per UMG. Cominciato con un album geniale, Mondo e antimondo,a mio avviso il suo più riuscito in una discografia già di per sé stellare (l’iniziale Re e la title track sono da sole un lasciapassare per l’eternità) e poi proseguito negli ultimi mesi con due progetti meravigliosamente antitetici, l’hard rock vintage (ma nemmeno troppo) dei Selva Oscura e lo splendido incontro tra jazz e psichedelia folk con Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura, poi sfociato nella bellissima realizzazione dell’EP Dio come alibi.

Sono cambiate tante cose dal 1999. Le coordinate musicali innanzitutto, con il rock che è si è istituzionalizzato e l’irruzione di nuovi linguaggi a esprimere il sentire delle nuove generazioni. Tu che hai attraversato questo passaggio sociale, culturale e artistico, come ti poni oggi nei confronti di quelle che sono le sonorità del terzo millennio e le differenti logiche di produzione e distribuzione? 

Avendo vissuto intensamente un ciclo storico d’oro come quello degli anni novanta e i primi anni zero, posso dire, con assoluta serenità, che se il cambiamento repentino ed estraniante all’inizio mi ha destabilizzato, oggi mi scivola via con disinteresse totale. Questa mancanza di emozioni che scaturisce dai fenomeni rap e trap, ma non solo, in realtà mi aiuta, spingendomi verso una maggiore concentrazione nelle mie cose. Quello che mi fa orrore è la mancanza di qualità, di contenuti, di immagine e di stile; sulle logiche di produzione stendo un velo pietoso ancora più drastico, mi considero una persona autentica e faccio fatica a trattenermi dal dire quello che penso, oggi l’ipocrisia la fa da padrona ovunque.

Mondo e antimondo è un disco incredibile, suonato splendidamente da strumentisti pazzeschi. Io lo vedo un po’ come la summa del Giardini-pensiero, il punto di arrivo di un percorso che diventa anche contemporaneamente ripartenza. Era così che lo vedevi? Come una sintesi di passato e presente, anche nell’equilibrio tra le tue dimensioni, acustiche ed elettriche, e una dichiarazione di intenti di quello che immagini possa essere il tuo futuro artistico?

Il passato e il presente sono sempre stati dentro di me, sono un “modus operandi” che rispecchia la mia vita. Nell’arte non è possibile né tantomeno auspicabile escluderli guardando unicamente al futuro, qualsiasi forma di classicismo e di bellezza si nutre sempre di passato. Le rivisitazioni, i nuovi modi per tradurlo e reinventarlo sono straordinari ma difficili da pensare e applicare, soprattutto in Italia, dove la società civile, politica, culturale sta andando alla deriva. Il mio ultimo album Mondo e antimondo è stato scritto con la consapevolezza che tutto prima o poi finisce e la leggerezza, la concentrazione, il buon umore, la ricerca di una perfezione maniacale che ho adottato in fase di registrazione hanno contribuito non poco al risultato, che silenziosamente è venuto fuori da sé. Non riesco a prevedere il mio futuro artistico, forse non lo desidero nemmeno.

Tu sei restato sempre controcorrente, hai lavorato artigianalmente di cesello su un tuo codice espressivo che nel tempo si è affinato, sia dal punto di vista musicale che da quello lirico. Cosa succede prima quando scrivi una canzone? Sono i suoni o le parole a essere anticamera di tutto il resto?

Passo moltissime ore in sala prove, spesso in solitudine, concependo la musica come parte della mia vita nonché della mia natura. L’esperienza migliora il risultato, quindi cerco di scrivere ogni volta meglio della precedente, pur se, nel tempo, in maniera sempre meno commerciale. Negli anni il modo di lavorare non è mai cambiato, difatti scrivo prima la musica, pensando dopo a quale atmosfera o intenzione darle assieme alla struttura generale. Infine arriva la fase lirica, cercando per prima cosa di capire quello che sarà il suono della mia voce, con il testo che redigo a brano quasi concluso; poi subentra la produzione finale del pezzo assieme a miei collaboratori, che negli ultimi anni sono diventati amalgamatissimi a me, riconoscendo quello che penso, quello che voglio e come lo voglio.

Da sempre ho concepito il mio lavoro come qualcosa fatto da una band, da un progetto, non da un solista.

Le collaborazioni. Bellissime ma senza una logica apparente. Come le stabilisci?

A differenza di molti miei colleghi non stabilisco mai niente, il più delle volte accadono per coincidenze legate al lavoro. Ho la fortuna di lavorare da sempre per La Tempesta dischi, un’etichetta che non mi ha mai imposto nulla e le collaborazioni che ho avuto (Verdena, Franco Battiato, Vasco Brondi, Cristiano Godano, Adriano Viterbini e le ultime con Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura) sono nate da incontri quasi fortuiti, dove la stima reciproca e l’amore incondizionato per la musica hanno chiamato sottovoce, senza alcun secondo fine. Tutto è nato e si è sviluppato in modo disinteressato.

Domanda doverosa, a questo punto, dopo un 2024 denso non solo di uscite discografiche ma anche di ecletticità sparse. A cosa stai lavorando adesso?

Il 2024 è stato un anno straordinario; il tour di Mondo e antimondo è stato bellissimo. Tante cose sono accadute, ultima Selva Oscura, un nuovo progetto hard rock dove sto dando il meglio di me stesso. Entro la fine dell’anno inizieranno le registrazioni del nuovo UMG, confesso di essere molto eccitato nell’affrontare una nuova sfida che dovrò assolutamente vincere, sia per l’amore delle cose belle, sia perché è quello che devo fare.

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