GOAT – THE BRIAN JONESTOWN MASSACRE
Torino | sPAZIO211 | 28 Agosto
L’ultima carrellata di eventi contrassegnati TOdays prendono il via alle ore 16 del 28 Agosto con la performance di ELIO GERMANO (attore di lignaggio) & TEHO TEARDO (musicista fra i più accreditati nel panorama delle avanguardie nazionali). La location designata è il Parco Aurelio Peccei dove hanno portato in scena la loro versione di Viaggio al termine della notte, piece multimediale ispirata al romanzo di Louis Ferdinand Céline con lo stesso titolo. Con loro una trentina di percussionisti provetti, complici di un avvenimento spettacolare (in anteprima nazionale) e decisamente fuori dal comune. Un’occasione da non perdere. Così come ineludibile era il programma sul prato di sPAZIO211, specie per i concerti dei californiani THE BRIAN JONESTOWN MASSACRE e degli svedesi GOAT, senza nulla togliere agli altri gruppi che si sono avvicendati su questo stesso palco, ovvero VICTOR KWALITY, LOCAL NATIVES e CRYSTAL FIGHTERS: tre modi diversi di abitare il pianeta pop-rock spesso con esiti spiazzanti. Ma è giocoforza che gli headliner della situazione fossero i nomi più attesi, non ultima la band di Anton Newcombe, il cui moniker, THE BRIAN JONESTOWN MASSACRE, è un intreccio di citazioni simbologiche quanto mai intriganti e immaginose. In circa un’ora hanno ripercorso in ordine sparso un arco piuttosto ampio della loro discografia; sul palco tre chitarristi coi fiocchi (compreso Newcombe anche alla voce), un possente bassista, un energico batterista, un inappuntabile tastierista e un tamburellista di un’eleganza assoluta. Fantastici! Sapevo che non potevano deludere, da loro pretendevo il nirvana moltiplicato al quadrato delle loro canzoni in abiti live. È stato come abbeverarsi in una distilleria psichedelica di armonie estasianti, un titolo per ogni mantra in scaletta (credo di averne contati più o meno una dozzina), officiato dai musicisti in perfetta scioltezza e coordinazione sincronica, come un intersecarsi/susseguirsi di onde alfa convertite in una parabola di armonie mentali, di energie sottili, di sussurri ed afflati catturanti. Geezers, Whatever Happened To, Who?, Nevertheless, Groove… Se avessimo le ali spiccheremmo il volo, ma ci limitiamo a battere il piede e a viaggiare col pensiero laddove questi suoni tendono a tele-trasportarci senza tregua. E poi ancora Anemone, Days Weeks And Moths, Servo, Pish… La quintessenza del narco-trip ellittico, ondivago come una danza di nubi ubriache fra le stelle. Ma è il rush finale di Yeah Yeah, gemma acid freak dai tempi in levare che fa gridare di piacere erotico per tutta la sua durata, un caleidoscopio rotante di riff ossessivi, mesmerici, sublimi, stranianti. Verrebbe quasi da dire concerto dell’anno.
A chiudere in bellezza il festival torinese spetta ai misteriosi GOAT e le loro pozioni di tribalismo voodoo. La loro ricetta è un’esplosione di ritmi carnali e di sgargianti tinte psych, esattamente come i costumi di scena e le maschere rituali che ne coprono il volto senza mai rivelare l’identità di questi giovani giocolieri dello space rock policromo. Al proscenio le due scatenatissime vocalist-ballerine in preda a chissà quali fumi allucinogeni, provvide di figure altamente coreografiche e di qualità canore altrettanto impressionanti e stravaganti. Un trionfo di esperienze magico-divinatorie miste ad un senso fisicità erogena immanente, secondo una formula alchemica che si nutre di armonie arcaiche e di motorik elettrici di scuola Krautrock. La loro musica ha i contorni di un ufficio esoterico iniziato al culto di madre natura, originari di Korpilombolo, un angolo di mondo nel profondo nord del Circolo Polare Artico, il che è tutto dire. Un’esperienza fatalmente magnetica per un cocktail di richiami mitologici, di profumi allogeni, di sapori speziati, di registri trance e di rizomi afrobeat (già apprezzati nei due album World Music e Commune) che si sposano perfettamente ai canovacci della mitologia scandinava e alle aurore boreali della loro terra avita, prova ne sia la potenza di tratto e il carattere profondamente pervasivo di un sound emorragico ricreato dal vivo con forza ulteriore. Mancavano solo i fuochi taumaturgici di un ipotetico cerimoniale sacro per completare la scena e propiziare, attraverso la danza del serpente, l’avvento di una nuova alba rigeneratrice. Che altro aggiungere? Un’esibizione abbagliante.
Aldo Chimenti
ph Loris Brunello