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FESTIVAL PDSYCHEDELIA

Recentemente è stata pubblicata la compilation doppia 391 Veneto per la Spittle (vedi recensione su Rockerilla 461), collana che documenta il fermento new wave, post punk, cold wave negli anni ’80 regione per regione. Se questa è una preziosa celebrazione del passato, è altrettanto importante sottolineare che nel corso del tempo questa terra così laboriosa ha sempre offerto proposte di rilievo, sia negli anni ’90 che nel nuovo millennio. Ogni città e piccolo centro può vantare numerose e creative formazioni che spesso hanno trovato spazio anche sulle pagine di Rockerilla e, sicuramente, tra i luoghi di punta spicca Padova, città dalla quale provengono ad esempio i Jennifer Gentle, che hanno visto il loro due album più recenti pubblicati dalla mitica label statunitense Sub Pop e i Mamuthones, accasati presso la Rocket, prestigiosa label inglese, la stessa degli osannati svedesi Goat.

Due nomi decisamente di richiamo per la prima edizione di PDsychedelia, festival che nel nome gioca sulla sigla della provincia e sul mood dell’evento. Sono state due intense giornate di musica casalinga presso il Nadir, circolo Arci che si sta rivelando come importante punto di aggregazione per pubblico e creativi locali (anche per il teatro) che cercano espressioni altre, culturalmente rilevanti, trovando qui un ambiente dove poter ascoltare e proporre arte dal basso.

A Padova fa freddo e siamo in prossimità del Natale ma il pubblico non è affatto mancato, anzi ha partecipato numeroso,

dedicando grande attenzione agli eventi che si sono susseguiti. Ad inaugurare il festival è la sperimentazione sonora degli Yami Kurae, trio reduce da una recente serie di performance in Giappone, che ha proposto un set visionario, caratterizzato da oscuri drone dark ambient ottenuti con molti effetti, ma anche con strumenti autocostruiti ed altri ancestrali. Su questi suoni un disegnatore bendato ha scarabocchiato su un foglio, esprimendo graficamente le suggestioni che l’ascolto gli ha trasmesso, opera in fieri che è stata proiettata su uno schermo. Dopo questo set cerebrale, sono saliti sul palco dei veri e propri folli, che rispondono al nome di The Ghost Of Tristan Tzara Meets The Blue Men And The Dada Boy, progetto che coinvolge musicisti attivi anche con altre sigle che si esibiranno di lì a poco. Caratteristica ricorrente di questa piccola scena psichedelico no wave art pop, è che molti musicisti sono attivi in diversi progetti e alcuni di loro saranno artefici di un autentico tour de force concertistico, come Andrea Davì (Mamuthones, Orange Car Crash, The Beautiful Bunker) e il giovane virtuoso Amedeo Schiavon (Orange Car Crash, Il Fulcro). Tornando al Fantasmia di Tristan Tzara si rimane assolutamente folgorati dalla bizzarria della proposta, potente arcigna, folle come una sorta di Frank Zappa in acido che si diverte a sperimentare con la scena neworkese della downtown di fine 70, primi 80. Tra gli strumenti sul palco spiccava il vibrafono abilmente suonato da Schiavon che ha arricchito ulteriormente le già validissime dinamiche ritmiche con ulteriori interventi percussivi. E così il groove irresistibile è planato su strutture che spesso hanno dato spazio anche all’improvvisazione, mentre dietro di loro venivano proiettate immagini estrapolate da antichi film porno in bianco e nero e da clip tratti da vecchi cartoon come i tre porcellini. Dopo questo esuberante set, in un angolo vicino al palco principale, è stato allestito il set degli Slumberwood, fermi ormai da oltre sei anni e con due splendidi dischi all’attivo, che per l’occasione si sono ritrovati insieme per suonare vecchi cavalli di battaglia anche se privi del batterista.

La band, composta dalla chitarra e dalla tastiera degli attuali Mamuthones, ha proposto un breve ma intenso set con due chitarre dai pochi e sferzanti riff, voci corali, tastiera minimale e, anche in questo caso, esperimenti visivi con proiezioni in tempo reale giocati su effetti di colore. Il loro dark folk è stato ancora una volta salmodiante e maledetto, una sorta di messa eretica ben officiata e applaudita. A chiudere il programma del 21 dicembre sono stati gli Orange Car Crash, autori di una cassetta che ormai è poco rappresentativa del nuovo corso del progetto guidato da Andrea Davì, autentica apoteosi di ritmo, passaggi dal groove ipnotico e ripetitivo, e poi ancora brani dove sono evidenti le influenze di Syd Barrett e Jennifer Gentle.

Dopo aver ammirato le bellezze della città di Sant’Antonio illuminata splendidamente a festa, si torna al Nadir per il programma di sabato 22 dicembre. Ad inaugurare la seconda giornata sono The Beautiful Bunker e il mood rimane ad alti livelli con un live in cui si ritrovano anche elementi della serata precedente. Il groove è dinamico, con le ritmiche che si incastrano alle idee sghembe e velenose delle chitarre, sound acido arricchito anche da ulteriori interventi di sax. Notevole e palpabile l’attesa per il set di Marco Fasolo/Jennifer Gentle che nonostante una line-up ridotta all’osso ha dato vita ad un set importante. Spazio poi alle giovani leve quali Il Fulcro, quartetto con un’età media di vent’anni ma che dimostra gusto, tecnica e follia degni dei loro più “attempati” colleghi. La band ha proposto un mix di psichedelia che ha pescato con le linee della chitarra, note che vanno dai 70 a richiami mediorientali per poi sconvolgersi con riff rumorosi ed effettati di scuola acida anni 80, sulla scia dei Loop. Al suo fianco percussioni, didgeridoo e ance, che hanno conferito al sound quel gusto etnico che si amalgama alla grande con basso e batteria, capaci di creare ulteriori linee agitate oppure piacevolmente più musicali, ma comunque strambe, in altri passaggi del brano.

Si arriva al gran finale pronti per applaudire i Mamuthones, progetto di Alessio Gastaldello ex batterista dei Jennifer Gentle, il cui ultimo lavoro Fear On The Corner è stato inserito ai primi posti in parecchie classifiche dei migliori dischi del 2018 di autorevoli giornalisti. Lontani ormai i tempi in cui questa sigla proponeva un’oscura dark ambient fatta di drone e campionamenti misteriosi, ora il quartetto propone un vivace afro post punk psichedelico ben riuscito su disco e assolutamente coinvolgente dal vivo, con brani che partono con strutture care ai Talking Heads di Remain In Light, ma che poi virano in crescendo strumentali che ipnotizzano con brani come The Holy Ghost People, che dal vivo è divenuto un autentico rito sciamanico.

Questa prima edizione di Pdsychedelia si è conclusa con un autentico successo sia per la qualità della proposta che per la risposta del pubblico e merita sicuramente di essere riproposta.

Gianluca Polverari

Padova | Circolo Nadir | 21 – 22 Dicembre

 

 

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