Top

FEFF 22: ESSERE DONNE IN GIAPPONE

Attraverso la storia del cinema giapponese è possibile osservare il percorso turbolento della condizione della donna del Sol Levante, tra fasi alterne e contraddittorie. Possiamo affermare che ancora oggi sulla donna giapponese persista il peso di credenze ed usanze che l’hanno vista nei secoli in un ruolo particolarmente mortificante. Da una parte, l’ipocrisia del perbenismo, del mantenere la dignità di facciata da parte della famiglia/clan patriarcale fa sì che un sistema che da sempre tende all’omologazione ne scoraggi tuttora l’indipendenza morale ed economica. Dall’altra, l’oggettificazione del corpo della donna per la gratificazione sessuale maschile, in special modo attraverso l’aperto uso ed abuso di minorenni kawaii, copre un range che va dal pop mainstream alla pornografia occulta più brutale. Ed all’interno di questo scenario multiforme, si muovono coraggiose e capaci donne in carriera, ragazze di provincia stanche di essere incatenate a stereotipi, ed ancora, donne ferite dal rimpianto di non esser state madri e mogli, come domanda il contesto sociale nipponico (e non solo). Incontrialo queste situazioni in tre proiezioni scelte dal programma del Far East Film Festival (online su mymovies.it sino al 4 di luglio).

L’interessantissimo documentario I – Documentary of a Journalist ci mostra la giornalista Mochizuki Isoko alle prese con scandali e corruzione legati al governo di Abe Shinzo. Troviamo nella Mochizuki un (purtroppo assai raro) esempio di giornalismo vero ed indipendente, tuttavia il suo lavoro viene persistentemente bloccato e la sua reputazione costantemente minata. La tenacia di questa minuta donna, che sicuramente gli uomini di potere (e parimenti quelli pavidi e servili) preferirebbero vedere a casa ad accudire il suo piccolo bimbo, suscita grande ammirazione. Il suo messaggio è quello di non essere pecore ma individui. E poter essere individui e non stereotipi, è esattamente ciò che noi donne fondamentalmente desideriamo.

Minori, on the Brink, del giovane regista/attore/produttore indie Minomya Ryutaro ci racconta di una ragazza di provincia molto carina, Minori. Si tratta di una provincia ben lontana dalle luci e dall’ordine perfetto del Giappone da cartolina. In questo paese di mare, anche se le facciate delle villette sono immacolate, all’interno di esse troviamo un decor vecchio e stantio, mentre le stradine deserte che le costeggiano pullulano di erbacce incolte. In un un’estate come un’altra, giovani privi di ambizioni si annoiano a morte. I ragazzi sono ossessionati dal bisogno di fare sesso, e le loro frustrazioni, rispecchiate nel disordine e sporcizia delle loro camere, spesso sfocia in approcci indesiderati e giochi violenti. La maggior parte delle ragazze sognano di incontrare un ragazzo “per bene”, mentre altre stanno al gioco dei maschi. Il problema di Minori è che non gradisce l’attenzione dei mandrilli: da un lato vorrebbe poter vivere liberamente come loro (le basterebbe poter girare in mutande per casa), dall’altro ne odia l’ipocrisia maschilista che da un lato ti spinge a starci e dall’altro ti marchia inevitabilmente come poco di buono. Il senso dello spreco della vita da parte di giovani a cui tutto sembra inutile, compresa la propria esistenza, è reso palpabile dall’uso sobrio della macchina e dalla noia inquietante che si respira nel paese. In Minori esiste una profonda solitudine legata ad un latente senso di violenza a cui pare impossibile poter fuggire. 

Per finire, My Sweet Grappa Remedies della regista Ohku Akiko ci invita nel mondo più intimo della tenera e sensibile Yoshiko. Oltrepassata la quarantina, sola e depressa, la donna vive nei rimpianti, che cerca di soffocare con il rimedio del “goccetto”. Il suo animo è tuttavia ancora pieno di poesia fanciullesca, trovando così inattesa empatia con una giovane e stravagante collega, grazie alla quale incontra un giovanissimo e peculiare ragazzo, di cui s’innamora. Il dispiacere causato dal tempo che passa inesorabilmente, rubando bellezza da un volto un tempo grazioso, e il dubbio di non poter ambire ad una relazione con un uomo molto più giovane di lei, la rende insicura ma anche fortemente consapevole del fatto che la vita le ha posto d’innanzi una sfida. Esser donna non deve significare provare disagio e rimorso per non aver voluto/potuto adempiere alle aspettative di un mondo virato al maschile, ma semplicemente rincorrere e conquistare liberamente la propria felicità. Emi Hey

Condividi