DONNY MCCASLIN QUARTET
Brescia | Teatro Santa Chiara | 22 marzo 2016
David Bowie non sceglieva mai per caso. Quando, negli ultimi mesi di vita, ha dichiarato il proprio amore per il jazz polimorfo e inclassificabile di Donny McCaslin, faceva sul serio: sapeva di aver individuato un musicista di grande talento e dotato di una propria, robusta, concezione estetica.
Il tenorsassofonista californiano, oggi trasferito a New York, non delude le attese del nutrito pubblico bresciano che riempie sino all’orlo il celebre teatro cittadino Santa Chiara.
L’impressione è che il pubblico si aspetti un jazz più tradizionale e accessibile rispetto a quello di Fast Future (album da cui sono tratti tutti i brani, e cui è dedicata anche la tournée).
Danny e i suoi invece osano l’inosabile, in un contesto tanto tradizionale e formale: l’unico artista contemporaneo che riesce nello stesso miracolo – combinare follia e ricerca radicale – è Kamasi Washington, cui non a caso McCaslin in qualche spunto assomoglia.
In primis, i due sono simili per l’eccellenza tecnica: entrambi i sassofonisti sono dei virtuosi di prima categoria, e nel loro caso si ricorre all’aggettivo a scopo celebrativo. Niente di scolastico o di calligrafico: loro maneggiano il sax con facilità e ci soffiano dentro un’energia incomparabile, quasi mistica. Per loro, la maestria strumentale è un’arma in più, e non un limite.
Se però Kamasi risente di certe radici funk-soul e omaggia per larghi tratti la fusion degli anni ’70, Donny in un certo senso va anche oltre.
Le trame modali evocano Herbie Hancock e compagnia ma qui siamo molto spesso dalle parti del noise. Dirò di più: questo concerto sarebbe piaciuto (e piacerà) anche ai fanatici di Sonic Youth. Donny apre il cielo in due con assalti sonori impressionanti, a metà strada fra la furia mistica di John Coltrane (che pare in effetti il primo e più importante referente) e lo strutturalismo cerebrale dei grandi solisti di Chicago (Anthony Braxton su tutti, ma anche l’Art Ensemble). Non mancano poi riferimenti alla fusion.
Il batterista è di chiara scuola post-rock e regala qualche pezzo di bravura, così come il bassista, che guarda tanto al jazz modale quanto alla fase free. Un cenno a parte merita il tastierista DONNY MCCASLIN QUARTET, David Bowie, Sonic Youth, Anthony Braxton, Aphex Twin, John Coltrane, Kamasi Washington, Herbie Hancock, Jason Lindner, che potrebbe suonare del tutto fuori luogo ai puristi del genere, e che invece è un’arma segreta che Donny sfrutta al meglio: le sue lunghe elucubrazioni sono figlie di Aphex Twin e di tutto l’universo drum’n’bass, drill’n’bass e dintorni.
I brani di Fast Future si trasformano così in suite della durata anche di 15 minuti, e il suo contributo al massacro è fondamentale: emblematica in tal senso la lunga, distorta intro di No Eyes, dove pare di ascoltare congegni difettosi in stile warp, o se vogliamo i Radiohead che si convertono al jazz d’avanguardia, senza rinunciare a qualche memorabile spunto melodico.
Rumore ed estasi: tutto racchiuso in un concerto di durata accettabile, che non ha annoiato neanche per un istante. E il pubblico di Brescia, quasi incredulo, anzi direi quasi strattonato da sonorità tanto ancestrali, ha apprezzato.
Francesco Buffoli