Cover Story: TRICKY
A leggere e approfondire la sua biografia, Adrian Thaws potrebbe tranquillamente presentarsi a chi non lo conosce forte di tutti gli stereotipi del tipico bad boy di colore. Un’infanzia travagliata, a partire dall’abbandono da parte del padre e la precocissima morte della madre, per continuare con la crescita da orfano in uno dei quartieri più difficili di una Bristol già immersa in un clima inquieto, il successivo e naturale avvicinamento ad un uso più o meno smodato di alcool e stupefacenti, l’ancor più scontata esperienza in carcere a soli quindici anni. L’elenco potrebbe continuare, ma a prolungarlo ci penserà Adrian stesso, in prima persona, raccontando con un’ironia e un distacco del tutto inusuali la storia della sua vita, per mezzo dell’unica forma di espressione che riuscirà a salvarlo: la musica.
Ma per capire che Tricky Kid – questo il soprannome con cui era noto dalle parti di Knowle West e di cui farà l’emblema della sua carriera – nasconda dietro la maschera del ragazzo di malsana periferia un animo totalmente diverso, è sufficiente conoscerlo di persona. Non è mai stato un gangster il giovane Adrian, un personaggio con la voglia di imporre ed imporsi, ed è lui stesso a far capire lo spirito che lo muove da sempre: “Una volta che ho tra le mani la mia canna, al mio fianco qualche amico e buona musica da ascoltare, non mi serve nient’altro”. Non è ambizioso né coriaceo, non poeta né vittima delle proprie disgrazie: il suo genio sta nella semplicità, nel mood, nella spontaneità e in una fondamentale dose di follia. Le contraddizioni che caratterizzano la sua personalità si ripercuoteranno in maniera decisiva e diretta sulla produzione musicale: “pazzia” e fortuna, mescolate in un mix micidiale, faranno di Tricky l’icona indiscussa dell’intera scena trip-hop...su Rockerilla di Giugno l’articolo, completo di intervista, di Matteo Meda.