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CALIBRO 35 : intervista a Tommaso Colliva e Massimo Martellotta

di Gianni Tarello

Il progetto più coraggioso della scena musicale italiana degli ultimi dieci anni pubblica il nuovo disco, ancora una volta diverso dal precedente e ricco di suggestioni sonore. Ne abbiamo parlato con il produttore, compositore, arrangiatore e ideatore Tommaso Colliva e con Massimo Martellotta.

Ormai i Calibro 35 sono una pietra miliare della scena musicale italiana. Dal vivo si esibiscono sempre in quattro, ma nelle foto compaiono sempre cinque elementi, e il quinto elemento sei tu. Definirti semplicemente il produttore dei Calibro 35 è sicuramente troppo riduttivo…

Tommaso Colliva: Hai ragione, il mio ruolo in Calibro è decisamente strano ma credo sia anche necessario per una band “strana”. Provo a ragionare ad alta voce. Calibro nasce da un’idea che mi venne anni fa e assemblai un gruppo per realizzarla, doveva essere un progetto di studio e invece si è trasformata solo in seguito in una band.

Il progetto si è quindi evoluto molto e da “Tommi che definisce un immaginario e manda una selezione di brani da riarrangiare e registrare” – che è poi il primo disco – siamo arrivati a dischi MOLTO diversi, interamente originali e con altri immaginari di riferimento.

Certo mi vengono sempre in mente tante idee e cose che possiamo e sarebbe bello fare ma adesso ogni cosa è pensata e discussa tra tutti, ognuno propone cose da fare e, a seconda delle idee, chi poi se ne occupa di più o di meno varia. Diciamo che io rimango il bambino entusiasta che manda mail tipo “ehi ieri notte ho avuto questa meravigliosa idea: perché non facciamo un disco sugli Elefanti in vacanza?“. A seconda poi degli entusiasmi e delle disponibilità si capisce cosa portare avanti e ognuno fa la cosa che sa fare – suonare, registrare, produrre, arrangiare, etc etc etc. Una volta FATTO qualcosa – tipo un disco – lo traghetto dall’essere un contenuto solo musicale a essere completato. Confrontandomi con tutti all’interno e all’esterno della band (etichetta, agenzia, uffici stampa…) e cercando di rimanere aperto – difficilissimo perché sono un testone – si fanno grafiche, video, merchandise e cotillons vari che cerco di tenere in linea con la musica e il concetto.

Raccontaci della tua passione per la musica. Com’è nata e soprattutto com’è nata la geniale passione per le colonne sonore dei film poliziotteschi italiani degli anni 70, passione peculiare che ti ha portato ad essere uno dei maggiori conoscitori del genere?

T.C.: Diciamo che sono un esperto a metà. Mi piace e sono in qualche modo un conoscitore ma non sono un collezionista. Tutto iniziò da ragazzino. Sono cresciuto nell’ambito hip hop e per fare beat cercavo dischi da campionare. A Spezia non trovavi chili su chili di soul e funk – cosa che infantilmente avrei voluto – e quindi si ascoltava di tutto e di più. Tra queste cose si incappava in colonne sonore varie e tante avevano dei super groove o dei super spunti. Ricordo la compilation I FIlm Della Violenzadi Morricone ad esempio che è ricca di cose belle o i dischi di library di Lesiman su Vedette Records. Da lì iniziai a ricercare e collezionare, ma a diciotto anni mi trasferii a Milano e mi dovetti confrontare con l’affitto da pagare. Quando arrivai al punto in cui i dischi che volevo costavano più dell’affitto di un posto letto in condivisione decisi che non potevo continuare. La condizione favorevole era che il file sharing a quel punto esisteva come esistevano etichette che ristampavano titoli perduti e c’erano quindi altri modi oltre all’archeologia applicata di scoprire musica oscura.

Da lì quindi abbandonai la ricerca ossessiva, le sveglie alle sei per andare ai mercatini, i viaggi passati solo a cercare dischi, gli scambi tipo quelli di figurine, etcetera lasciando queste cose a persone ben più “infoiate” ed esperte di me.

Anni dopo ho trovato una declinazione “diversa” di questa passione con Calibro, anche se il progetto stesso parte da lì, ma poi lo abbiamo portato altrove, rispettando le origini della cosa senza costringerci al purismo di genere – che è una cosa di cui spesso vedo grossi limiti creativi.

Sbaglio o si può affermare che, nonostante i tuoi successi internazionali e le tue prestigiose collaborazioni, il progetto Calibro 35 resta il tuo fiore all’occhiello, che ancora oggi ti rende orgoglioso?

T.C.:Assolutamente. Nella mia vita ho avuto un sacco di “cognomi“. Tommi Officine (dal nome dello studio in cui sono cresciuto), Tommi After, Tommi Muse… ma quello che mi inorgoglisce di più è Tommi Calibro.

Parliamo un po’ della carriera dei Calibro 35: all’inizio erano proiettati verso il funky italiano protagonista delle colonne sonore dei film poliziotteschi, ma ultimamente stanno esplorando nuovi territori. Penso a S.P.A.C.E.che introduce elementi di elettronica space cara alle colonne sonore dei film di fantascienza, oppure all’ultimo Decade, che invece ha un suo filo conduttore immaginario nel movimento culturale architettonico italiano degli anni ‘60?

T.C.:Come dicevo siamo in parte nati “in vitro”. Un progetto assemblato ad hoc su un’idea che poi si è evoluta man mano anche in base alle cose che succedevano, all’interno e all’esterno. La richiesta di una colonna sonora – il documentario americano Eurocrime– è stata la scusa del secondo disco che ha portato a scrivere materiale originale e renderci conto che potevamo farlo. In quel periodo migliorammo le nostre performance live, crescevano le attenzioni dall’estero – Ritornano quelli di…fu pubblicato in USA da Nublu Records – e avevamo voglia di girare il mondo. Il terzo disco, Ogni Riferimento…, fu realizzato a New York mentre eravamo in USA per il SXSW, conteneva materiale originale al 90% e ci inserì meglio in un contesto non-italiano in cui essere a nostro agio.

Traditori di Tutti nacque invece dalla voglia di chiudere il capitolo poliziesco realizzando il nostro noir definitivo, musicando l’unico libro della tetralogia di Scerbanenco mai traslato in film. Lui fece la quadrilogia di Duca Lamberti, e noi volevamo fare 4 dischi polizieschi prima di muoverci un po’. Da lì S.P.A.C.E.che prende tutt’altre pieghe. La fantascienza immaginaria, perché di fatto l’Italia non ha avuto quasi nessun film di fantascienza, abbinata a tecniche di realizzazione IPER vintage: tutto su nastro, no computer, no editing, no preset, no cuffie, etc…. Decadenasce invece dal voler mettere in ordine le idee. Ci siamo trovati a compiere dieci anni senza quasi accorgercene e non potendo fare un best of (come cazzo fai a fare un best di cose di Calibro?), abbiamo deciso di fare un riassunto, realizzando con l’ensemble con cui da tempo volevamo fare un disco brani che facevano riferimento a cose che abbiamo investigato nel corso degli anni: da Luis Bacalov a Tony Allen, da Medeski, Martin e Wood a David Axelrod a Morricone (sempre lui!).

Quindi qual è l’idea alla base dell’ultimo album? Anche in questo caso c’è una sorta di filo conduttore generale o una chiave di lettura particolare? Io in particolare ho notato che è un disco molto più corale, in cui tutti gli elementi hanno collaborato alla composizione dei brani, molto di più che in altri dischi precedenti…

Massimo Martellotta: È stato tutto abbastanza fisiologico. Dopo l’ubriacatura autocelebrativa e orchestrale di Decade mi è sembrato molto sano tornare alla forma di quartetto stretto, ma stavolta con un piglio più legato al momento musicale presente. Siamo sempre noi, ma è un disco che suona come un disco di adesso, ha dentro un pò di tutto quello che ci piace ascoltare della scena presente.

Dal punto di vista compositivo hai ragione, di solito il monopolizzatore è il sottoscritto ma sono già un paio di dischi in realtà che tendiamo a scrivere in maniera più corale. Il che fa contenti tutti, ma soprattutto aiuta a dare varietà.

Tornando indietro agli inizi della carriera dei Calibro 35, ti saresti mai aspettato che un progetto musicale così originale per i tempi e per l’Italia avrebbe avuto il successo che ha avuto, trasformandosi in una delle realtà musicali più interessanti e innovative della scena musicale italiana degli ultimi dieci anni?

M.M.: Io tendo a non aspettarmi molto quando faccio qualcosa che mi piace. Lo faccio e basta e fare i Calibro mi piace tantissimo. Quindi avevo le aspettative che hanno tutti quando iniziano qualcosa in cui credono, ed avendo per indole aspirazioni napoleoniche penso onestamente che siamo ancora molto all’inizio di ciò che possiamo fare. Sull’originalità io non credo che i Calibro siano originali, ma sicuramente cerchiamo di fare al meglio quello che facciamo con una chimica tra di noi e un team di lavoro decisamente fuori dal comune. Calibro 35 è nel tempo diventato quasi un piccolo “marchio”, passami il termine terrificante, che anche se non è conosciuto nel dettaglio, viene comunque associato a qualcosa di “qualità”, e questo è uno dei risultati che più mi fa piacere. Nonostante i dieci e passa anni a me sembra ancora di essere all’inizio fortunatamente. Nel senso che di cose da fare ne abbiamo tantissime, sia in potenza che in realtà. Sta solo a noi farle. Ho sempre creduto tanto nel progetto, a parte le mie ultime attività in solitaria con i miei cinque dichi solisti non ho per scelta altri progetti in cui suono. Quindi sì, ci credevo e ci credo tanto.

Tra l’altro il vostro è un progetto di musica strumentale, senza testi e senza cantato, in un paese come l’Italia che ha grande tradizione di cantatutori dai testi impegnati (pensa al tuo corregionale, Fabrizio De André) e in un epoca dominata dal rap, che fa della parola il suo strumento principale: in questo vostro nuovo disco peraltro ci sono un paio di brani cantati, cosa insolita per i Calibro 35… non senti la mancanza dell’espressione verbale in questo progetto?

M.M.: Il fatto che non ci sia il cantato, ma di essere cantabili, è da sempre la nostra forza. Siamo cantabili, ma il contenuto e il film te lo fai tu che ascolti. Brani come Notte in BovisaGiulia Mon Amour, vengono cantati ai concerti a squarciagola come fossero dei cori da stadio ma poi scopri che un brano comeTravelersromantico, senza funk, lirico, che non doveva stare nel disco precedente perché troppo lirico, messo come ultimo pezzo, lontano da quasi tutto quello che Calibro rappresenta, che ho scritto in un momento un pò difficile – differentemente dagli altri più funk – è in cima alle preferenze degli ascolti Calibro su spotify.

E allora capisci che se la gente ti segue sul funk, ma anche sul cervellotico, addirittura sul romantico e adesso sul rap, forse stai facendo la cosa giusta. E quello che hai da dire passa lo stesso, con o senza le parole.

Com’è mio solito al termine dell’intervista, mi piace chiedere una tua opinione sul panorama musicale attuale: attualmente, tralasciando i progetti che segui per lavoro, cosa ascolti con maggiore attenzione e quali artisti e progetti apprezzi maggiormente? Ci indicheresti qualche artista con cui ti piacerebbe collaborare o con cui vorresti che i Calibro 35 collaborassero e magari si esibissero dal vivo (io purtroppo seppi in ritardo dell’esibizione a Milano insieme a Nicole Willis…)?

T.C.:Opinione sulla scena attuale: c’è un sacco di musica in giro. Bella e brutta. Bisogna solo scegliere ciò che piace.

Ascolti: negli ultimi anni il jazz inglese ha sfornato una quantità incredibile di cose belle da Yusseff Kamaal a Sons of Kemet a Joe Armond Jones.

Collaborazioni: difficilissimo immaginarsi collaborazioni, rischio delusione altissimo, ma l’esperimento con MEI e Illa J mi è piaciuto molto. Se devo sognare direi che mi piacerebbe avere Killer Mike e Sampa The Great su un nostro pezzo.

CALIBRO 35  MomentumRecord Kicks 

Il collettivo dei Calibro 35 ci regala il settimo episodio della sua epopea musical-cinematografica, dando ancora una volta prova di sé con la consueta, inconfondibile attitudine eclettica, in bilico tra passato e futuro. Colpiscono i riferimenti letterari contenuti nel titolo: il tema simposiaco dell’hic et hunc, già caro ad Alceo ed Anacreonte, poi divenuto manifesto oraziano, è quel Momentumche i Nostri cercano di catturare citando Camus, “la vera generosità verso il futuro consiste nel donare tutto al presente”. E così, tra Morricone e Jay-Z, tra Stelvio Cipriani e Dr Dre, passando per Mort Garson e Tortoise, la creatura di Cavina, Gabrielli, Martellotta, Rondanini e Colliva, ci accompagna in un altro suggestivo viaggio sonico, ricco come mai prima d’ora di tappeti di synth e musica concreta. Dieci tracce che, andando avanti e indietro nel tempo, titillando contemporaneamente il nostro gusto retromane e lo sguardo attento e angosciato sul futuro, offrono una chiave di lettura interessante di ciò che è l’oggi, qui ed ora, appunto: questo presente multiforme e spaventoso, questo momentuminclassificabile che stiamo vivendo, all’alba degli anni venti del terzo millennio. Atmosfere oscillanti, che dalle aperture apocalittiche di Glory-Fake-Nation, giungono alle melodie di piano, sedative e ipnotiche, di One Nation Under A Format: dieci momenti distinti, tutti accomunati dal preciso obiettivo di suonare senza tempo. UNA PISTOLA FUMANTE SULLA CONTEMPORANEITÀ.Valentina Zona

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