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Brian Eno: il report del live di Venezia

Venezia Teatro La Fenice 22 Ottobre Biennale Musica 2023

Il timore. Il timore è la prima sensazione che si percepisce quando ci si appresta a scrivere un racconto dedicato a colui che ha riempito la nostra vita con i suoi, racconti. Quelle scritte da Brian Eno sono state storie indimenticabili grazie alle quali abbiamo conosciuto e siamo entrati in contatto con il suono della lentezza, del tempo infinito, della discrezione, della musica possibile quando nessuno pensava potesse esserlo. Ora, come frequenti viaggiatori ormai abituati alla musica che viene diffusa negli aereoporti, ci ritroviamo faccia a faccia con il Maestro, obbligati a rivelare il nostro pensiero che ancora vaga sopra il palco di un teatro veneziano risorto dalle sue ceneri.

Ships è un progetto in divenire, partito anni addietro ha assunto forma di disco (The Ship Warp Records – 2016) e installazione sonora realizzata qualche anno dopo. Un lungo viaggio attraverso un percorso non pago che assume il nome di Ships e sbarca in Laguna, in quel magnifico porto che è il Teatro La Fenice. 

La marcia di avvicinamento al nuovo progetto esecutivo di Brian Eno deve essere necessariamente lenta, si deve valutare ogni minimo elemento, proprio perché questo è ciò che Eno fa: ogni sua azione, anche a distanza di molti anni, non è per nulla scontata sia visivamente sia, soprattutto, musicalmante. Con Ships la sfida era riuscire a riprodurre il suo disco originale, più alcuni altri brani che appartengono alle “hit”, usando una vera e propria orchestra ed è da qui che si deve partire.

Ci sono già stati esempi di ‘contaminazione’ acustica nel percorso del compositore e musicista inglese, uno su tutti il famoso Music For Airportsdell’ensemble Bang Of A Can uscito per l’etichetta Point Music nel 1998, un lavoro di reinterpretazione acustica del linguaggio elettronico, riuscito alla perfezione ed ora, a distanza di venticinque anni una nuova prova che vede il nostro, immerso ma leggermente defilato al centro di una vera e propria orchestra filarmonica: la Baltic Sea Philarmonic diretta da un inconsueto direttore che risponde al nome di Kristjan Järvi. 

Due considerazioni su questo notevole ensemble che raccoglie eccellenti musicisti provenienti da diverse nazioni nordiche – non tutte in buoni rapporti tra loro e per questo doppiamente valenti – occorre farsele, così come si deve tener presente chi è il direttore. Un’orchestra filarmonica indubbiamente innovativa fondata da un Kristjan Järvi  nei panni anche di direttore artistico,  che riesce a muoversi tranquilamente da Wagner a Steve Reich passando per i Radiohead, Mùm o Hauschka, per non parlare di Max Richter. Sono elementi che bisogna conoscere per cercare di comprendere la particolarità della loro esibizione che si dipana attraverso il movimento dei suoi elementi, musicisti che eseguono a memoria le partiture improvvisando e a comando si muovono e mescolano tra loro con brevi impercettibili movimenti, tanto che vien da pensare siano gesti pensati per meglio diffondere le vibrazioni del suono prodotto dai loro strumenti. Un’esibizione che sfiora la perfezione, riuscendo ad accogliere al meglio le istanze e le peculiarità del suono elettronico.

Non avrei mai immaginato di ritrovarmi immerso in una realtà non elettronica pensando di eseguire la mia musica, eppure ora sono qui – ha dichiarato Eno ieri sera dal palco e in effetti il risultato ottenuto è cosa che si presta a due interpretazioni opposte: gli entusiasti e coloro che faticano a seguire il nostro nei suoi progetti più acustici che elettronici. 

Ed ecco apparire il timore nel recensore che appartiene alla seconda categoria. Quando si ha a che fare con qualcuno che va ben oltre la definizione di compositore o musicista o produttore. Un nome che si segue fin dal lontano non ricordo manco più quando e solo ultimamente si inizia a non capirlo, quando per esempio produce un disco assieme a Fred Again e il temuto termine ‘pop’ salta fuori come una coloratissima e simpatica ranocchia dallo stagno. Certo non ci si inorridisce ma la si guarda con divertimento e magari la si inserisce nella playlist annuale degli animaletti più carini.

La domanda quindi è questa: alla fine della fiera cosa è riuscito a dare questo concerto dal punto di vista dell’innovazione a cui lui sempre ci ha abituato e della musica, quella che ti lascia seduto a pensarla anche dopo mezz’ora di glitch provocato dalla puntina che va a scontrarsi con la fine del disco? Dal punto di vista dello scrivente, purtroppo non quanto si voleva o pensava desse. Personalmente penso che la traduzione acustica della materia elettronica sia un’operazione sorpassata dal tempo e dagli eventi artistici innovativi che si succedono, un’operazione che porta con sé un pericoloso carico di fraintendimenti anche a livello vocale, tanto che canzoni intoccabili come By This River o I’m Set Free, rischiano di tramutarsi in veri e propri inni pop, con tutto rispetto per il genere quando viene prodotto con l’eleganza del caso. Sarebbe stata cosa decisamente favolosa, affidare il cantato alla voce di Brendan Perry, assai vicina per certi aspetti alla tonalità necessaria per interpretare quei pezzi. Un cambio scena che questo recensore ha realmente immaginato durante il concerto, giusto per renderlo più intenso, meno celebrativo, più profondo e vivo.

Brian Eno ormai è divenuto una star e una star deve compiacere un pubblico facilemente accontentabile. Ieri sera quel pubblico in sala c’era ed era in gran numero. 

Alle sue parole, scritte nel lontano 1977, la conclusione: 

We dream of a ship that sails away
A thousand miles away. 

Mirco Salvadori

Courtesy La Biennale di Venezia ph. Andrea Avezzù 

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