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BINKER GOLDING

Binker Golding si è guadagnato il proscenio della ricchissima scena londinese con Moses Boyd e nel frattempo si è dedicato a numerosi progetti “collaterali”, tra i quali spicca quello con la band esibitasi a Milano, nell’ambito del festival Jazzmi, il 13 ottobre, nella splendida cornice del Palazzo dell’arte.

Golding ha radunato alcuni dei musicisti più originali e acclamati della capitale britannica: al pianoforte c’è Sarah Tandy, che ha già pubblicato anche un lavoro come leader; alla chitarra, Billy Adamson; alla batteria Sam Jones e infine, al contrabbasso, Daniel Casimir. Dettaglio non irrilevante: tutti i musicisti della band sono giovani o giovanissimi, eppure sono gà quasi dei veterani nel panorama jazz contemporaneo.

Non è facile riassumere in poche parole l’eterogeneo e complesso stile di Golding e della sua band, perché anche il termine jazz, nel loro caso, rischia di essere sia riduttvo che fuorviante: il complesso linguaggio del gruppo è infatti una sorta di macchia di Rorschach per la fantasia di noi jazzofili, in particolare quando Binker e soci propongono i brani estratti dall’album pubblicato nel 2022, Dream Like a Dogwood Wild Boy, che sposta il baricentro in direzione country e musica popolare americana, senza per questo snaturarsi o perdere la propria essenza jazz.

Il chitarrista (acustico ed elettrico) Adamson gioca un ruolo decisivo, perché è piuttosto distante dal classico virtuoso jazz: la sua chitarra riluce e scintilla come quella di Adam Granduciel dei War On Drugs, avvicina gli stati di smarrimento di un John Fahey, ma è capace anche di sferzate fusion e di passaggi atmosferici quasi new wave o post-rock, e in alcuni momenti sembra risuonare nel vuoto, mentre Golding riempie quel vuoto con la sua straordinaria vena melodica e narrativa. Il gruppo ha il merito di non farsi trascinare della proprie doti virtuosistiche, ma di piegarle alle propri esigenze: e così, se le ballate regalano i momenti più emozionanti, sia per i complessi e toccanti contributi di Sarah Tandy al pianoforte che per gli avvincenti e “morbidi” assoli di Golding, il gruppo dimostra di avere una completa padronanza anche del funk-jazz sofisticato in voga in Inghilterra da tempo, così come di potersi avvicinare all’estetica spigolosa e ai “salti quantici” dell’armonia di musicisti com Steve Lehman o Steve Coleman. Lo stile di Golding sembra un personalissimo riepilogo di alcuni tra gli stili di riferimento della storia del jazz: se John Coltrane, con le sue sheets of sound, è un riferimento imprescindibile, Golding dimostra di poter essere anche sinuoso e cerebrale come Wayne Shorter, e di poter cavare dal proprio sax sonorità aspre o di un colore brunito e denso, quasi mimetico di Sonny Rollins. Il suo sax, in sintesi, è una sorta di enciclopedia dello strumento in ambito jazz, e Binker ha il merito di essere un eccezionale narratore, e di saper cavare dal proprio strumento innumerevoli umori emotivi e di dominarne la dinamica come pochi altri virtuosi contemporanei.

Il batterista e il bassista, capaci di giocare un ruolo chiave anche in posizione defilata, si concedono un paio di divagazioni spettacolari, che completano il quadro di un concerto intenso e memorabile. Francesco Buffoli

Triennale di Milano, 13 Ottobre

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