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BETTY DAVIS

 They Say I’m Different

Betty Davis è uno dei personaggi misteriosi e di culto della storia del rock. Il mistero comincia alla fine degli anni ‘70 quando la grande cantante funk statunitense smette di fare dischi e scompare dalla scena musicale. Da allora molti hanno cercato di rintracciarla senza successo. Ci è riuscito il regista Phil Cox il quale, dopo aver raccolto dalla stessa Betty racconti e ricordi per quattro anni, nel 2017 ha realizzato il documentario Betty – They Say I’m Different, riproponendo come titolo quello del suo secondo album che rappresenta bene l’essenza della storia della protagonista.

Il documentario, presentato al festival Seeyousound, è un racconto intenso e appassionato della vita personale e artistica di Betty Davis, costruito molto bene, soprattutto se si considera il poco materiale visivo disponibile su di lei, che è stato integrato dalle interviste alla cantante, oggi settantaduenne. Una vita, la sua, passata inizialmente tra lo stato del North Carolina, dove è nata, e Pittsburgh, prima di trasferirsi, ancora adolescente, a New York dove comincia a fare la modella e a interessarsi al mondo della moda, diventando in seguito una stilista eclettica. A New York conosce Jimi Hendrix e Sly Stone e poi Miles Davis che nel 1968 diventerà suo marito, anche se solo per un anno. Il matrimonio, nonostante la brevità e i problemi, avrà una grande influenza per entrambi dal punto di vista artistico. Betty, spirito libero e anticonformista, dall’immagine ribelle e selvaggia, attenta ai canoni estetici e della moda, libera Miles Davis da una certa rigidità formale sia nella musica che nell’immagine, ancora legata al mondo del jazz anni ‘50, per cui i suoi completi gessati lasciano il posto alle camicie colorate in pieno stile fine 60’s, così come la sua musica si apre alle influenze esterne. D’altro canto Miles incoraggia Betty a essere sè stessa e a continuare a cantare ed esibirsi. Nel 1968 infatti esce il terzo singolo di Betty Davis e, qualche anno dopo, nel 1973 arriva il suo primo album. Miles Davis la omaggerà invece con la canzone Mademoiselle Mabry (cognome di nascita di Betty) nell’album Filles de Kilimanjaro (1968) e raffigurandola nell’immagine di copertina del disco.

Betty ha una voce poderosa e sensuale, canta un funk arrabbiato dall’anima rock e dalle tinte acide, il suo look è selvaggio e sexy, sul palco dà tutta sé stessa ed è molto provocatoria ed esplicita. Sembra quasi una versione femminile dell’amico Jimi. Ma anche Hendrix ha dovuto trasferirsi a Londra per avere successo. Figuriamoci una donna. Una donna, e per di più di colore, con atteggiamenti così liberi e trasgressivi non era certo ben vista negli Stati Uniti che si trascinavano dietro molte questioni razziali irrisolte. La sua libertà era troppo per l’establishment musicale, e le etichette discografiche e i produttori continuavano a ripeterle che doveva cambiare, l’immagine, l’abbigliamento, l’atteggiamento. Per andare avanti nel mondo della musica, per ottenere quel successo che avrebbe meritato, ma le è sempre stato negato, avrebbe dovuto cambiare la sua natura, diventare qualcun’altra. Preferì lasciare quel mondo piuttosto che diventare una persona che non era.

Rossana Morriello

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