BABYLONIA
Intervista a Max Giunta
Il nuovo salto dimensionale di Multidimensional è frutto di esperienze di vita che hanno segnato corpo mente e spirito, ma il tuo nuovo lavoro dimostra che l’amore ha avuto ancora una volta il sopravvento su tutto, spazzando il buio in un angolino, mettendo in ordine la “stanza”. Ne sono uscite parole e musica, musica e parole, cosa raccontano entrambe?
Le canzoni di Multidimensional mi ricordano quei fiori, semplici e colorati, che spuntano tra le crepe del cemento sfidando avversità ed intemperie varie.
Ci sono momenti nella vita in cui ci si trova davanti ad un bivio: un sentiero porta verso il baratro più profondo, l’altro verso una destinazione ignota ma che avvertiamo essere più luminosa, pur richiedendoci una grande sfida con noi stessi e i nostri numerosi limiti. Io ho scelto di percorrere questa seconda possibilità.
Per questo motivo i testi di Multidimensional sono impregnati di speranza, proprio perché nascono dalla palude di smarrimento e paure che ho dovuto faticosamente attraversare, dopo la “partenza” di Robbie verso altre dimensioni.
Certo, la perdita di una persona a noi molto cara costa davvero molto. Le lacrime e le notti insonni non si contano. Il dolore morde, lacera il nostro cuore e annebbia la mente. Ma è solo attraversando questa maledetta zona d’ombra che il nostro spirito si desta e si rafforza ritrovando se stesso e la consapevolezza di essere parte del Tutto.
So di essere stato supportato ed aiutato da Robbie nello scrivere questo album che, come i precedenti, è a tutti gli effetti scritto a quattro mani, le nostre.
Un lavoro quindi “multidimensionale”, come ben rappresentato dal simbolo in copertina del disco che simboleggia il contatto tra due mondi, così lontani e così vicini.
Come è stato realizzato tecnicamente l’album e quali fasi hai dovuto attraversare e oltrepassare per il modellamento dell’opera compiuta?
La realizzazione alla fine del 2011 di The Ethereal Collection, una raccolta in vinile nata come omaggio a Robbie, mi ha aiutato a mettere un po’ a bada quel dolore che mi impediva di tornare ad occuparmi di musica.
Così, a gennaio del 2012, ho iniziato a scrivere il primo brano per Multidimensional. Si trattava di 1+1=1.
Canzone dopo canzone, sono arrivato a circa 15 brani, un numero sufficiente per ritenere chiuso il cantiere del nuovo disco.
Dopo aver scritto un nuovo brano al pianoforte, inizio il lavoro di pre-produzione nel mio home-studio. Passo molto tempo sugli arrangiamenti e sui suoni. Posso scrivere una canzone in 5 minuti e passare un mese e oltre ad arrangiarla.
Per questo disco volevo un suono più ricco e, in un certo senso, più “elevato”. Per questo motivo mi sono circondato di vari musicisti tra cui gli Archimia, un quartetto d’archi che ha suonato in diversi brani, e Silvio Masanotti, chitarrista di Daniele Silvestri e altri artisti.
L’incontro tra la nostra elettronica e gli strumenti acustici non è sempre stato facile, ha richiesto molto lavoro e tanta pazienza in studio.
Per questo abbiamo affidato il mixaggio, ancora una volta, a Marco Barusso, grande professionista nonché amico che conosce bene il nostro progetto e sa come farlo rendere al meglio.
Le tre ballate del disco sono invece state mixate da Stefano Mariani che aveva già curato parte del nostro disco Tales Of Loving Hearts.
Per l’ultima parte, quella del mastering, ci siamo tolti lo sfizio di bussare alla porta del leggendario Sterling Sound Studio di New York e di mettere il lavoro nelle mani di Ted Jensen, un ingegnere del suono che tra i suoi crediti vanta dischi dei Muse, di Madonna, Duran Duran e tanti altri.
L’album incarna (secondo il mio parere) la metafisica concezione di un grande polmone animato dall’ossigeno di tutti coloro che ti conoscono, come se ciascuno di loro avesse contribuito a “soffiarci” dentro, e la sensazione è che ad ogni battito (beat) il polmone si animi, cosa ne pensi?
Mi piace molto questa immagine del polmone perché rappresenta molto bene il concetto dell’interconnessione tra gli esseri viventi al quale io credo molto.
Siamo tutti connessi, non c’è dubbio. Se riuscissimo a rimuovere quel velo che indossiamo spontaneamente come protezione verso gli altri, scopriremmo che le emozioni altrui sono le nostre medesime e gioiremmo e soffriremmo con e per i nostri simili all’unisono, esattamente come il polmone descritto nella domanda.
Non è facile mettersi a nudo, rivelarsi e vincere la paura del giudizio altrui. Quando però questo accade, magari dopo un percorso lungo e travagliato, gli altri ci riconoscono e vedono in noi la loro stessa essenza, diventiamo quindi gli specchi degli altri e risuoniamo armonicamente con loro in un’unica grande orchestra.
Arriva per tutti gli artisti la “fase della maturazione” e questa sembra essersi dipinta sulla tua musica, ci sono i Babylonia del passato e i Babylonia del futuro in Multidimensional? Una combinazione sonora in perfetto equilibrio.
E’ difficile per me parlare in termini di passato e futuro pensando ai Babylonia.
Io vedo questo progetto come un “eterno presente” in continua evoluzione. La musica è la fotografia di ciò che siamo e viviamo nel momento in cui viene scritta.
Certamente i nostri esordi sono stati un momento del nostro percorso artistico in cui eravamo meno messi a fuoco rispetto ad oggi, ma ciò che siamo attualmente è frutto delle scelte e delle strade intraprese allora, giuste o ingenue che fossero.
Come è scritto sempre nei crediti dei nostri dischi e nei comunicati ufficiali, i Babylonia “erano, sono e saranno sempre Max & Robbie”.
Dal punto di vista musicale, mi piace pensare che il futuro sia qualcosa ancora da scrivere e tutto da immaginare. In fondo, è il bello della creatività.
Alla luce dei recenti fatti di Parigi come dovrebbe muoversi la musica in tal senso? Cosa potrebbe fare per conciliare e spingere la gente a non avere paura di stare assieme ad altre persone dentro un luogo pubblico?
Penso che la libertà sia un diritto conquistato e un valore da preservare e difendere con forza e determinazione.
I momenti che viviamo sono purtroppo pieni di domande e di dubbi ma credo che questo non debba costringere nessuno a cambiare le proprie abitudini, tra qui quella di andare ad un concerto.
La musica è vibrazione e la vibrazione è energia. Sarebbe bello quindi se i musicisti potessero sentirsi più liberi ed ispirati scrivendo sempre più musica che parli d’Amore, di speranza e di Luce senza pensare troppo alle classifiche di vendita o alle playlist delle radio.
Sei impegnatissimo a rilasciare interviste, a fissare date per i concerti (anche all’estero) ma quanto conta la dimensione live per te oggi?
I concerti sono sempre stati per noi molto importanti perché sono un’ottima occasione per incontrare chi ci segue e poter vivere assieme le canzoni che abbiamo realizzato dopo mesi di lavoro. E’ un po’ come un premio per i sacrifici fatti.
Quando si viaggia, che sia per pochi chilometri o per migliaia, è sempre una grande emozione incontrare persone che vengono per ascoltarti e per incontrarti.
I nostri concerti sono un insieme di musica, immagini e luci pensato e organizzato per emozionare e divertire il pubblico che viene da noi accompagnato in un viaggio sonoro che culmina in un finale in cui si scatena un vero e proprio party nella sala.
Cosa pensi della Russia e delle nuove generazioni in base anche alle tue esperienze e conoscenze?
Siamo stati diverse volte in Russia e devo dire che abbiamo scoperto essere un paese per alcuni versi molto simile alla nostra Italia.
Il pubblico dei concerti è sempre molto affettuoso e partecipe, a differenza di quanto si possa erroneamente pensare.
I ragazzi russi hanno voglia di vita, di sentirsi parte dell’Europa e del mondo intero, come è giusto che sia.
Certo le difficoltà economiche e le differenze sociali sono evidenti, per questo spesso la musica è per la gioventù russa una vera e proprio fuga da una realtà poco facile da vivere.
Matteo S. Chamey