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AMERICAN FOOTBALL A MILANO – IL REPORT

American Football + Edless

30 Maggio 2024

Alcatraz – Milano

Di Francesco Buffoli / Foto di Niska Tognon

Ho sempre pensato che lo scenario ideale per ascoltare gli American Football dei fratelli Kinsella fosse la camera da letto e non un locale.
La band di Urbana è figlia dello stesso Midwest di David Foster Wallace e di Jonathan Franzen, e la sua profonda introversione “domestica”, ben rappresentata dall’immagine che domina la copertina del loro primo e più celebre LP, risalente al 1999, è la dimostrazione plastica di questa loro tendenza alla timidezza parossistica.
Vederli dal vivo all’Alcatraz di Milano è stata quindi una rivelazione, e per due motivi: in primis, ho scoperto una band in grado di piegare alle proprie esigenze anche lo strumento del concerto, per di più in un locale di ampie dimensioni, e in secondo luogo ho scoperto l’esistenza di un ampio stuolo di fans, di un vasto e sotterraneo culto senza nome, forse di uno degli ultimi culti in grado di regalare un senso di identità collettiva ai “giovani”, di farli sentire parte di qualcosa, un po’ come era accaduto ai Joy Division o, su scala più ampia, ai Nirvana.
La maggioranza dei presenti era più giovane di me, che non a caso ho scoperto e amato la band quando avevo 25 anni, e la cosa mi ha sorpreso positivamente: ci sono ancora band in grado di creare un’atmosfera emotiva, un modo di vivere e di sentire le cose che sia al tempo stesso profondamente intimista e condiviso (la benigna cospirazione di introversi di vaneggiata da Calvin Johnson negli anni ‘80, forse, esiste ancora).

Il concerto si colloca nel contesto del tour celebrativo del disco di debutto della band, intitolato American Football, che nel 1999 ridisegnò i confini della musica emo: gli American Football, all’epoca poco più che ragazzi, rifondarono il concetto di emo-core, avvicinandolo alla complessità strutturale degli Slint e dei musicisti post-rock (le ricorrenti, complesse figure ritmiche, i tempi inusuali che spesso variano all’interno dello stesso brano) e regalandogli un respiro nuovo e più ampio, una vocazione cantautorale. Un po’ musicisti hardcore maturati e divenuti saggi, un po’ cantautori alla Mark Kozelek o alla Elliott Smith, un po’ sperimentatori che lambiscono il jazz più astratto e il dream pop, gli American Football erano e rimangono soprattutto dei maestri nella costruzione delle atmosfere, e i brani del loro primo LP sono tutti indimenticabili.
Il lungo ed elegante proemio strumentale (degli Slint che si sono arresi all’emozione, meno cerebrali) lascia il posto alla toccante The Summer Ends, forte di una melodia accorata e lenta e di una tromba che gocciola note che sono pura tristezza post adolescenziale, e che però ti toccano anche quando hai quarant’anni. L’estate finisce, canta il leader Mike Kinsella (la band oggi conta sei membri), e il concetto, grazie alla sua voce che è quasi il paradigma di tutte le voci indie più accorate, diventa di un’emotività insostenibile.
I pezzi forte del repertorio, il manifesto dell’American Football pensiero, sono But The Regrets Are Killing Me, il cui intreccio di chitarre cristallino e “progressivo” è uno degli apici strumentali di una band che ha sempre fatto del suono in quanto tale una delle chiavi del proprio linguaggio, e la cui melodia è una perla, e la straordinaria Honestly, uno dei pezzi più classicamente rock del loro repertorio, il cui cambio di tempo ha fatto saltare sulla sedia anche una musicista laureata al conservatorio come la mia consorte, stupita dalla naturale, quasi disinvolta complessità del brano, e le cui liriche sono uno dei loro apici
(Honestly I can’t remember teen dreams/
Or my teenage feelings and their meanings)
La parte del concerto dedicata al primo LP si è chiusa con il brano-testamento Stay Home, pezzo che dice tutto con il titolo e che nei suoi otto minuti abbondanti di durata è sempre un tuffo al cuore, un inno all’introversione che chiudeva idealmente con gli anni ‘90: That’s life/ So Social/ So Stay Home.
Dopo una breve pausa, la band si dedica ai due dischi pubblicati nel 2016 e nel 2016, che sono forse privi della stessa straripante energia emotiva ed ispirazione, ma sul piano strettamente compositivo sono delle autentiche perle, forse anche più briosi: My Istincts Are The Enemies o la splendida, pinkfloydiana Uncomfortably Numb sono due delle creazioni migliori degli ultimi anni, e il pubblico dimostra di apprezzare.
Concerto indimenticabile.
(Francesco Buffoli)

American Football (foto di Niska Tognon)

Edless (foto di Niska Tognon)

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