
ALICE IN CHAINS
Rainer Fog BMG
Gli Alice In Chains interrompono un silenzio di cinque anni pubblicando – peraltro nel bel mezzo dell’estate, sulla carta la stagione più lontana dal loro mood oscuro e metallico – “Rainer Fog“. Si tratta della prima opera incisa nella natia Seattle negli ultimi vent’anni, e come prevedibile il sound ne risente: il lavorio di produzione ha coinvolto Los Angeles e Nashville, ma l’anima del disco parla chiaramente il linguaggio del grunge anni ’90.
Per la verità, la band di Cantrell e DuVall mi stupisce dopo ogni pubblicazione per la capacità di cavare l’impossibile dalla medesima formula, di fatto quasi immutata sin dai tempi in cui fuoreggiava il compianto Staley: riffs poderosi, melodie dolenti (ancorché oggi si intravedano spiragli di luce inimmaginabili ai tempi di un “Dirt“), atmosfere apocalittiche in stile Black Sabbath catapultate nell’universo noise americano. La band, in altri termini, non ha deposto le armi: DuVall ha dichiarato che il disco rispecchia una particolare condizione esistenziale antagonista (“up against it“), dovuta tanto a problematiche personali (gli Alice in Chains sembrano sempre barcollare sull’orlo dei propri abissi) quanto all’attuale conflittualità sociale (sempore più incendiaria sia negli Usa che nel resto del mondo). Nel marasma di sonorità roventi spiccano alcune ballate ispiratissime (la notevole “Fly”) e alcune brutali incursioni nel rumore che occhieggiano alle invenzioni più personali dell’epoca d’oro della scena del north west (su tutte “So Far Under“, che arranca nel fango come le loro ballate più dense). Opera intensa e imperdibile per tutti gli appassionati.
Francesco Buffoli