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ECHO AND THE BUNNYMEN | Monografia

ANIME BIANCHE IN SOPRABITI SCURI

Liverpool: gli anni del risveglio

Sul finire degli anni 70, Liverpool diviene epicentro di un risveglio generazionale deputato a rinverdire gli antichi splendori  beatlesiani di città simbolo del pop britannico. Nella rosa delle giovani promesse pronte a gettare il cuore oltre l’ostacolo, gli Echo And The Bunnymen figurano come una delle voci più lucide e determinate a misurarsi con la vitalità di competitori altrettanto agguerriti e brillanti come i Teardrop Explodes. Entrambi i gruppi nascono dalle ceneri dei Crucial Three, naturale organo d’incubazione per due giovani di belle speranze quali il nostro Ian McCulloch (per gli amici Mac) e il vulcanico Julian Cope (oltre all’altro ex compagno di scorribande Pete Wylie che confluirà nei ranghi degli Wah!), personaggi il cui carisma varrà loro la leadership nelle rispettive formazioni con tutte le differenze e distinzioni antropologiche del caso. Ian era il bel tenebroso della situazione, più incline alle istanze del dopo punk concettuale, versato per le dinamiche caravaggesche del chiaroscuro e uno spiccato senso lirico del pathos, aspetti di nodale importanza ai fini degli orientamenti musicali venuti a cementarsi in seno alla sua creatura, anche in ragione del personalissimo stile canoro impastato di retrogusti melodrammatici e passionali. Un sintetico ma significativo ritaglio ‘mitologico’ di tale rinascenza è reperibile in To The Shores Of Lake Placid, sampler tematico curato dalla storica Zoo Records di Bill Drummond e David Balfe (teste pensanti della seminale art punk band Big In Japan) dove gli Echo And The Bunnymen contribuiscono con una manciata di prelibate primizie, fra cui una primordiale Read It In Books, realizzate quando in line-up ‘militava’ ancora Echo, la fantasmatica drum machine analogica poi mandata in soffitta (salvo a mantenerla nel nome) con l’ingresso di Pete De Freitas alla batteria. Appannaggio della Zoo è anche il singolo emblema The Pictures On My Wall, primo adorabile assaggio discografico che stilla lacrime d’innocenza perduta.

L’ingresso ufficiale in società dei Bunnies ha luogo nel mese di Novembre 1978 come opening act ai Teardrop Explodes, per una premiere sul palco dello Eric’s club di Liverpool (situato nella stessa via del mitico The Cavern Club, il venue che tenne a battesimo i Fab Four) calorosamente salutata dal pubblico locale. L’ascesa ai lidi dorati della celebrità era già nell’ordine delle cose. Quelli della Korova (offshoot della Warner) non indugiarono a prenderli sotto la loro ala protettiva, mentre la stampa specializzata prese a raddrizzare puntualmente le antenne. Dopo averli visti in azione sul palco, Seymour Stein della Sire si disse disposto a metterli sotto contratto per il mercato americano, a patto però che reclutassero un batterista in carne ed ossa. 

Se mi si passa la digressione, non sarà  male spendere qualche parola sull’espressione musicale, a mio avviso, più innovativa e stimolante di Liverpool in quegli anni: Big In Japan. Sebbene compresso nel tempo e nello spazio di un 7” EP di 4 brani (From To And Never Again) più un singolo condiviso con i Chuddy Nuddies, il manifesto di questa scheggia impazzita ha lasciato una traccia indelebile nella memoria di chi scrive, un bagliore di luce inestinta che passa attraverso lo sberleffo irridente del punk evoluto e lo scatto della movenza selvatica, il fendente dell’artiglio idiosincratico e della dissonanza scomposta. Oltre ai due summenzionati titolari della Zoo (chitarra, basso), l’organico contava su cuori ribelli quali Ian Broudie (poi nelle file di Original Mirrors, Wild Swans e Lightning Seeds), Holly Johnson (che fra le altre cose cercherà fortuna con Frankie Goes To Hollywood), Peter Clarke aka Budgie (meglio noto come il biondo batterista di Siouxsie & The Banshees e The Creatures) e la splendida Jayne Casey, femme fatale insignita di sensualità canora fuori schema che, una volta conclusa l’esperienza Big In Japan, continuerà a turbare i nostri sogni portandosi prima alla guida di Pink Military (memorabile il primo ed unico LP Do
Animals Believe In God?), quindi di Pink Industry, novelli facitori di seduzioni mentali, tra cinematica cold wave e melodia lunare,  immortalati in 3 album epocali, uno più notturno e conturbante dell’altro. Magie senza tempo…su Rockerilla 405 | Maggio la monografia di Aldo Cimenti

echo 

 

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