The Notwist, live @Magazzini Generali, Milano – 17 maggio 2022
Un vortice di armonia
Sette anni di assenza, con in mezzo una pandemia durata oltre due, devono essere stati un carburante potente per la formazione originaria di Wilhelm, vicino a Monaco di Baviera, così come per il loro pubblico. Ed infatti, ciò che da subito appare chiaro, sin dalle prime note di Into Love/Stars (dall’ultimo disco, Vertigo Days), è che nei Magazzini Generali vibra tanta attesa e un assoluto, autentico amore. I fan milanesi si dimostrano da subito calorosi e pronti ad esaltarsi. Exit/Strategy, mirabile sintesi di quel kraut-pop di cui i Notwist sono indiscussi maestri, è l’occasione perfetta per cominciare a ballare. Ma c’è anche tanta voglia di lasciarsi cullare dalle melodie più malinconiche, anch’esse marchio di fabbrica dei Notwist: in molti cantano a memoria Pick Up the Phone (una delle tracce iconiche di Neon Golden), e la voce sottile e fanciullesca di Markus Archer viene sorretta da cori entusiasti. Segue il groove irresistibile di Sheep, con i suoi innesti funky-jazz: letteralmente trascinante; così come Into The Ice Age, con le sue contaminazioni jazz-caraibiche, è ancora una volta l’occasione per riempirsi di meraviglia osservando questi musicisti straordinari all’opera. Oh Sweet Fire è invece una ballata acida e psichedelica capace d’ipnotizzare. La prevedibile predominanza delle tracce tratte dall’ultimo lavoro viene accolta con grande favore: a dispetto di quanto accada solitamente con band storiche, in cui spesso ai concerti ci si ritrova ad ascoltare più volentieri i grandi classici rispetto ai brani più recenti, l’esecuzione di tracce come Where You Find Me suscita la medesima emozione di canzoni come This Room (altro manifesto inquieto e romantico tratto da Neon Golden). Fanno capolino anche brani da The Messier Objects, come Objects II, o da Close To Glass, come Into Another Tune, che ancora una volta stranisce per la delicatezza, la potenza e la maestosità. È interessante osservare la sapiente alternanza di momenti ad alto tasso di psichedelia e rumore, con momenti di autentica sospensione e abbandono (Loose Ends, Gravity).
È un live generoso (quasi due ore di musica), in cui l’ensemble dispensa ripiegamenti acustici ad arditi esperimenti tra l’elettronica e il free jazz, e dove lo stesso frontman diventa occasionalmente un DJ che mette e mixa vinili sul palco, trasformando talvolta le code dei brani in potenziale musica da rave. Tra gli encore, prevedibilmente, Consequences scatena letteralmente la platea: tutti intonano in coro i versi d’amore struggenti di una delle canzoni più amate del loro repertorio.
La band, anche se decisamente di poche parole, è visibilmente divertita e sopraffatta dall’ondata d’amore che Milano gli riserva e si concede senza risparmio, fino alla fine, regalandoci una serata in cui il noto spessore tecnico, incline alle più spinte prove di improvvisazione, riesce, miracolosamente, ad essere addirittura soverchiato da un calore e un’umanità che difficilmente dimenticheremo. Ci erano mancati.
Valentina Zona