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UZEDA 

È difficile descrivere il senso quasi spirituale della musica degli Uzeda, soprattutto dal vivo. Averli rivisti dopo anni, alle prese con il nuovo album (Quocumque Ieceris Stabit, prodotto ancora una volta da Steve Albini) non ha minimamente mutato l’impressione avuta sin dal primo ascolto, quando la loro potenza colpiva per quella specie di trasporto quasi ascetico che ciascuno di loro portava con sé, a cominciare dall’impareggiabile Giovanna Cacciola, di cui lo sguardo e la voce restavano sistematicamente impressi nella memoria come una cosa sola, una dualità fusa. A distanza di anni, potremmo dire di decenni, non appare alterata la sensazione di avere a che fare con una specie di prodigio che si compie e si ripete ogni volta, annullando il tempo, i generi e i confini.

Il locale è pieno e freme d’attesa. Dopo la formidabile apertura di Asino, il progetto math-noise-anarchico di Giacomo “Jah” Ferrari (voce, batteria) e Orsomaria Arrighi (voce, chitarra), gli Uzeda salgono sul palco di Santeria Toscana con la consueta essenzialità, che contrasta vistosamente con il carattere trionfale dell’accoglienza che gli viene riservata. 

Questa volta non fa eccezioni: qualche cenno di saluto e il live parte con la violenza di This Heat, tratto da Stella, il penultimo lavoro degli Uzeda, seguita da Gold, dello stesso album. Si prosegue col caos ordinato di Red, tratto dall’ultimo disco, la nevrotica Blind, e la viscerale Mistakes, sempre da Quocumque Ieceris Stabit.

Un veloce ripasso degli anni ’90 con Sleep DeeperStomp, facenti parte del repertorio noise più celebre della band, per poi tornare alle vorticose impennate umorali dei giorni nostri con Soap,Speaker’s CornerDeep Blue Sea, e il magma quasi ancestrale di Nothing But The Stars.

Il climax emotivo è raggiunto: vediamo scorrere sudore e forse anche lacrime sul volto di Giovanna, ancora una volta messaggera di inquietudini feroci, di impeti ed estreme fragilità: grida potentissime che diventano in un attimo un filo di voce tremante. 

Gli ultimi brani della scaletta sono una specie di estremo sforzo verso la vetta, un’ulteriore progressione verso quell’esperienza totalizzante di ascolto che ci ha trascinato fin qui, in un vortice di feedback, distorsioni, vocalizzi disgraziati lanciati come anatemi, imprecazioni nel vento.

Per tutto il live continueremo a pensare a quello che sono oggi gli Uzeda, alla sorprendente coerenza stilistica che ne ha scandito un’intera carriera, e quindi anche a quello che sono stati. Continueremo a pensare ai Sonic Youth, ai Fugazi, ai June of 44, ai Polvo, ai Jesus Lizard, ai Don Caballero, e continueremo a stupirci di questa straordinaria parabola artistica, così vicina ad esperienze musicali lontanissime, e così miracolosamente vicina anche a noi.

E continueremo a sentirci fortunati per essere testimoni di questo prodigio, lo stesso già menzionato in premessa: un prodigio che si compie e si ripete ogni volta, annullando il tempo, i generi e i confini. È una specie di vigore primitivo, una forza istintiva che più che resistere esiste ed esisterà: “Ovunque lo getti starà in piedi”, questo significa il titolo dell’ultimo disco. Ed è fin troppo facile applicare questa metafora della resilienza agli Uzeda, che dal lontano 1987 non hanno mai smesso di darci sonore lezioni di stile.

Valentina Zona

This Heat

Gold

Red

Blind

Mistakes

Sleep Deeper

Stomp

Soap

Speaker’s Corner

Deep Blue Sea

Nothing But The Stars

Montalbano

The Preacher’s Tale

Camillo

Steam Rain And Other Stuff

Milano | Santeria Toscana | 29 settembre 

Nella foto Studio Albini Masterclass

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