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TRE FILM DI TONY PALMER

Mercoledì 31 gennaio il Festival Seeyousound ospita la retrospettiva dedicata a Tony Palmer, uno dei maggiori registi di cinema a tematiche musicali, poliedrico autore di oltre cento film su artisti come: Beatles, Cream, Frank Zappa, Rory Gallagher, ma anche Stravinsky, Wagner e Maria Callas. In ordine cronologico di realizzazione, i film presentati al Seeyousound sono All My Loving del 1968, dedicato alla scena rock e psichedelica di quegli anni, Bird on a Wire documentario del 1974 su Leonard Cohen e Testimony: The Story of Shostakovich del 1988 con Ben Kingsley nei panni del compositore russo. Tre film molto diversi ma rappresentativi dei vari ambiti nei quali si muove il cinema di Tony Palmer, tra musica rock e musica classica, biografie e ritratti sociali di determinati periodi storici e relative connotazioni politiche. Abbiamo chiesto in un’intervista al regista, presente in questi giorni a Torino sia per la retrospettiva sia come presidente della giuria di una sezione del festival in concorso, di parlarci dei tre film in programma.

 

All My Loving è il secondo film nella carriera di Palmer. Il regista ci racconta come il documentario sia nato in seguito a una conversazione con John Lennon, il quale era convinto che ci fossero molti musicisti talentuosi che però non apparivano mai alla tv britannica BBC, con la quale Palmer collaborava. Il grado di copertura dei programmi tv della nuova scena pop emergente in quegli anni era molto basso e mostrava sempre gli stessi elementi stereotipati, come sesso e droga, per cui la musica e i musicisti passavano in secondo piano e non erano considerati con il dovuto rispetto. Palmer chiese a Lennon di fargli qualche esempio e lui elencò nomi come Jimi Hendrix, Cream, Frank Zappa, Who, Eric Burdon, Beatles, Pink Floyd, che sono i protagonisti di All My Loving. Il regista gli rispose che, a parte Roger Waters, di cui era stato compagno di scuola, gli altri non li conosceva. Lennon gli rispose di non preoccuparsi perché lui si sarebbe occupato dei contenuti e Palmer avrebbe dovuto solo girare il documentario. Lennon intendeva enfatizzare principalmente due aspetti: da un lato, le grandi capacità di questi artisti tutti straordinariamente dotati come musicisti ma sottovalutati, dall’altro il fatto che fossero artisti aperti e intelligenti e avessero qualcosa di interessante da dire. La BBC inizialmente si rifiutò di trasmettere il film e ci vollero nove mesi prima che lo facesse.

All My Loving è un’opera molto dura e potente, spiega il regista, e lui ne era consapevole fin dall’inizio. I media reagirono in maniera diversa alla sua uscita, con le riviste popolari che non capirono di cosa trattasse realmente il documentario, così come molta gente, e le riviste più serie e specializzate che si interrogarono con lunghissimi articoli su quale fosse il significato del film. Questo dibattito però permise finalmente ai media e al pubblico di cominciare a vedere con occhi diversi i musicisti e di capire che lo stereotipo di ‘sesso droga e rock’n’roll’ era una pessima descrizione perché non si trattava affatto di questo, ma di menti brillanti che raccontavano con libertà e intelligenza, tramite la musica, l’epoca in cui vivevano, con vicende come la guerra in Vietnam, a cui si fa riferimento nelle immagini del film, e che cercavano di comprendere e trovare un senso al mondo in cui vivevano.

 

Bird on a Wire è un documentario sul tour del 1972, in Europa e Israele, di Leonard Cohen. Si era trattato di un tour molto difficile e problematico, caratterizzato da continue difficoltà tecniche e diverbi con i fans durante i concerti, spesso sfociati in accese e violente discussioni, e conclusosi con un crollo emotivo di Cohen. Probabilmente l’aver messo in luce un momento di debolezza, emotivamente coinvolgente del protagonista non fu gradito allo stesso Cohen e il film sparì dalla circolazione per quarant’anni. Ritrovato nel 2009 è stato restaurato dal regista con un lavoro più lungo e complicato di quello necessario per girarlo, ci confessa Tony Palmer, poiché i negativi originali non sono stati ritrovati per intero ma solo in migliaia di frammenti di pellicola che hanno dovuto essere ripuliti e ricomposti con un lavoro durato sei-sette mesi contro le sei settimane che furono necessarie per girare il film e montarlo. Il documentario gli era stato commissionato da Leonard Cohen o, più precisamente, dal suo manager, preoccupato perché i suoi dischi non vendevano e l’etichetta non voleva rinnovargli il contratto discografico. Cohen non lo sapeva e accettò di fare il tour, pur con poca voglia e affermando che sarebbe stato l’ultimo. La realizzazione del film fu ardua, in un clima non facile, ma l’assenza di una casa discografica che in quel momento vantasse dei diritti sul musicista si trasformò per Palmer in un vantaggio poiché non c’era nessuno a imporre regole e vincoli e si ritrovò libero di procedere secondo le sue idee. Pose a Cohen la condizione di permettergli di filmare tutto, senza mai chiudergli la porta, e così fu e questo gli permise di realizzare un ritratto molto intimo e commovente del musicista.

 

Testimony è un film dedicato al compositore russo Dmitri Shostakovich, basato sulla biografia omonima scritta da Solomon Volkov nel 1979. Il film fu da subito osteggiato dal governo sovietico, tanto da costringere il regista a girarlo completamente in Inghilterra, a Liverpool, senza poter riprendere niente dei luoghi originari. Di certo, ci dice Tony Palmer, non sappiamo con precisione che cosa successe in quegli anni in Unione Sovietica, non abbiamo dati e numeri. Alla fine del film c’è una frase in cui si confronta il numero delle opere scritte dal compositore con il numero di morti provocati dal regime di Stalin, potenzialmente milioni, ma senza poter scrivere una cifra precisa. I rapporti di Shostakovich con il regime e con Stalin furono sempre ambivalenti, da un lato per sopravvivere doveva adeguarsi ai dettami del regime ma in realtà è stato un dissidente che ha lasciato alla sua musica il compito di denunciare la situazione che si viveva nel suo paese. La sua musica ci permette di capire qualcosa di quel periodo storico, ma è anche la storia emblematica di qualsiasi regime oppressivo. Tony Palmer ci racconta di come, in occasione di una proiezione del film durante un festival in Sud Africa, rimase colpito dalla reazione empatica del pubblico. Il pubblico era costituito per due terzi da persone di colore che nella quasi totalità probabilmente non sapevano chi fosse Shostakovich né avevano mai ascoltato la sua musica. È Tony Palmer a chiederlo direttamente a una persona del pubblico che gli aveva fatto una domanda. L’uomo gli rispose di non sapere, effettivamente, chi fosse il compositore e di non avere mai ascoltato la sua musica ma di essersi riconosciuto nel film, di aver rivissuto una parte della sua storia, della storia di oppressione dell’apartheid. Testimony è un film che, come spesso succede nel lavoro di Tony Palmer, non è solo il ritratto di un musicista ma anche la rappresentazione di una situazione sociale.

Rossana Morriello

 

INTERNATIONAL MUSIC FILM FESTIVAL

Torino 26 gennaio – 4 febbraio

http://www.seeyousound.org/

 

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