Top

TAREK ATOUI

THE GROUND SESSIONS

Mentre la città si sta appena riprendendo dall’ondata di marea dello scorso martedì 12 novembre, quando alle ore 22.50 la stazione di rilevamento della Punta della Salute ha registrato 187 centimetri di massima, la seconda Acqua Granda più alta dopo il 1966, il Teatrino di Palazzo Grassi si erge alla stregua di tempio scampato all’apocalisse dei marosi.

Tocca a Tarek Atoui, sound artist libanese di stanza a Parigi, cerimoniare la tregua della Città con gli elementi, proponendo al pubblico The Ground Sessions, serie di performance espressamente concepite dal compositore per Palazzo Grassi – Punta della Dogana, mutuate dall’omonima installazione già in esposizione presso la 58a Esposizione Internazionale d’Arte presso La Biennale di Venezia.

Tarek è un sound artist – un giorno capiremo cosa significa e perché in giro lo sono tutti, ma lui ragiona bene e sa inventare. La sua è una ricerca continua, volta a ridefinire le regole d’ingaggio degli ascoltatori, oltre che dei musicisti con cui collabora. Per l’occasione: Alan Affichard, Igor Porte, Rosario Sorbello e Tomoko Sauvage. Il setting è composto da quattro pedane poste ai lati del foyer del Teatrino, sulle quali campeggiano gli strumenti costruiti dallo stesso Atuoi, oggetti sonori, hacked instruments di artigianale fabbricazione e dall’intrigante foggia. 

Sotto l’invisibile direzione di Tarek, che dopo poche parole si defila avendo già definito a monte le regole del gioco, apre il sipario con superba eleganza Tomoko Sauvage, i cui cristallini rintocchi prodotti da ciotole riempite d’acqua in cui sono immersi degli idrofoni (microfoni piezoelettrici subacquei), adornano lo spazio acustico della sala. Si susseguono quindi gli interventi degli altri artisti: Igor Porte, che con l’ausilio di un laptop e di un cordofono aggiunge irregolari beat a bassissime frequenze; Rosario Sorbello che maneggia ceramiche motorizzate e canne di cristallo esplorando sonorità decisamente più ruvide; Alan Affichard, che con l’ausilio di altri cordofoni crea armonie sensuali di stampo più dronico. Gli interventi si alternano singolarmente, l’uno dopo l’altro, fino a costruire un dialogo che li vedrà nell’ora seguente impegnati in una partitura che lascia spazio all’improvvisazione, se pur mantenendo un approccio minimale e a bassa intensità di decibel. 

Per chi è curioso invece di sapere cosa stia succedendo nell’altra sala, da cui provengono incursioni di beat “a cassa dritta” che riportano ad un’atmosfera decisamente più clubbing, dietro alle porte d’ingresso dell’auditorium Daniel Araya rielabora in real-time frammenti dei suoni prodotti dal quartetto e ne fa elementi da sequenzializzare attraverso un sistema modulare, per la costruzione di bozzetti techno in slow motion, senza risparmiarsi in derive più divertitamente acid. Il pubblico è invitato a circuitare tra i due spazi, con doverosa attenzione a non fare troppo chiasso, nel rispetto per quel che sta accadendo. 

Infine sotto perentorio impulso di Atoui, il quartetto conviene di chiudere la performance, lasciando libero sfogo al producer svedese che ora, a porte aperte, alza il tiro in un liberatorio crescendo finale. 

Anche questa volta Venezia è salva, per ora. 

Venezia, Teatrino di Palazzo Grassi 21 novembre 

[bewarerabbit]

ph Matteo de Fina

Condividi