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STEVEN WILSON

Hand. Cannot. Erase.  | KScope

Nel 2006 fu trovato in un appartamento di Londra il corpo in decomposizione di una donna a circa tre anni dal decesso; la storia di Joyce Carol Vincent, che aveva tagliato i ponti con famiglia e amici e che nessuno si era dato pena di cercare per tanto tempo, ha ispirato a Steven Wilson un album molto particolare, anche dal punto di vista lirico. Un esercizio di scrittura da una prospettiva femminile, che non si limita ai testi ma che alimenta un complesso scenario pure attraverso un diario fittizio, mantenuto in forma di blog su handcannoterase.com. Il piccolo nucleo di musicisti che affianca Wilson in questa avventura multimediale è un estratto del gruppo che ha registrato e portato in tour il fortunato The Raven That Refused to Sing; l’assenza delle ance di Theo Travis dal centro della scena è il primo indizio di un sound quasi privo di contaminazioni jazz – a parte la strepitosa Home Invasion e l’articolata Ancestral, la più vicina ai Porcupine Tree – innervato dalla tradizione più classica del prog – la vibrante 3 Years Older richiama niente meno che gli Yes – o da melodie pop piuttosto lineari, con arrangiamenti spruzzati di breakbeat e raffinata elettronica. Uno spostamento di coordinate per potersi calare in un immaginario psicologico che non coincide con quello dell’autore ma che ne preserva la cifra estetica fondamentale.

E UN ALTRO BERSAGLIO CENTRATO.

Enrico Ramunni

STEVEN WILSON Hand. Cannot. Erase. è il DISCO DEL MESE di Rockerilla Febbraio ’15

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