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SLIPKNOT

We Are Not Your Kind Roadrunner Records

Impronta 90s sfocata, derivativa di quegli 80s tanto celebrati, graffianti come il guanto di Freddy e marchiati come il volto di Jason. Gli Slipknot sono sfacciati, dannati e docili come dei cuccioli “puliti dentro, belli fuori”. Nonostante la storia (recente) non sia foriera di eventi meravigliosi (la morte di Paul Gray per la solita “shitting overdose”, l’allontanamento di Joey Jordison), la band non ha mai svilito la propria essenza e dinamicità foriera di esplosioni viscerali sempre e comunque. Sesto disco, definito, integro, risolutivo di una certa didattica: linee di basso circolari, drumming sessions infervorate, strascichi gotici negli anfratti mistici, potere al voler spingersi ancora una volta dentro un intero album di ben 14 tracce (nel 2019, audaci e quindi autentici). Maschere, numeri, l’orgoglio assurto sull’altare della fascinazione per gli elementi della vita occultata. In un mondo censurato dal politically correct, in realtà oscurato da un viscido perbenismo sporco, gli Slipknot sputano false santità, osservano crudeltà in fasce, toccano la morte e la resurrezione (a modo loro), paure disequilibri fantasie e tele effimere. Non incutono più il timore satanico di un tempo, ormai satana è ben accetto dalla massa, l’eterna diatriba del pensiero comune (la musica “malata” induce al demonio) passa in sordina e per fortuna ci ritroviamo ad ascoltare quello che vogliamo senza censorie accelerazioni dottrinali. E’ un peccato doversi privare di una tecnica sublime nel metodo nella sua esposizione e nella coralità dell’aggregazione trasposta. La band spolvera il meglio, ha costruito un album completo, aggressivo e comprensivo, al passo coi tempi schiacciando il tempo. L’identità non è violata, con il mento alto verso il (non)futuro gli Slipknot sfondano le porte ed elaborano un viaggio alato attraverso i mondi del contemporaneo. Lungi dal voler sbullonare ogni singolo brano, basso e batteria dettano sempre il tempo, loop circolari sfarfallano elettronica, il cantato eleva sempre e in qualunque istante il tappeto sonoro è magistralmente stimolato tra le cave delle viscere. Psichedelia tra una sospensione e l’altra. Un magistero heavy che sputtana qualunque scoppiazzatura possibile. Irraggiungibili, pertanto unici e loro lo sanno. Rinunciate a suonare, non lottate per un posto sul palco, dedicatevi ad altro, il metal e i loro derivati meritano rispetto, quello che molti di noi ancora non hanno compreso. Metallo che scotta e se non sono i vostri tipi girate al largo.

Matteo Samuel Chamey

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