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RICHARD ASHCROFT

Torino | 26 agosto | Todays Festival

Confesso di aver atteso questa venuta di Richard Ashcroft con qualche punto interrogativo della serie: riuscirà il nostro eroe a mandare in quota gli strali dell’esibizione e con essi l’adrenalina del pubblico pronto ad accorrere numeroso? Risposta affermativa, ogni minimo residuo di dubbio è puntualmente evaporato nel giro di pochi minuti dall’inizio del concerto, la stoffa del musicista inglese si fa onore senza troppi indugi sull’ampio ed attrezzatissimo palco di sPAZIO211, nessuna riserva ha più ragione d’esistere ora che Ashcroft e la sua compagine di sodali in azione animano la scena come veri portenti della progressione strumentale che scorre divinamente, che viaggia a briglie sciolte tra le rocce vive del accordo epidermico e del riff mozzafiato. Una carica di potenza magnetica quanto basta per inchiodare all’ascolto chiunque abbia avvertito sentore di evento leggendario da raccontare a chi non c’era. La scaletta dei brani non ha fatto una piega, opzionata facendo ampio ricorso al catalogo The Verve di Urban Hymns, a celebrare il ventesimo anniversario di questa pietra miliare del pop britannico. Al suo fianco un gruppo di musicisti coi fiocchi, chitarre da panico e una sezione ritmica occupata da un bassista macchina da guerra, oltre che da un batterista di prima grandezza. Lui è un vero animale da palcoscenico, sa tenere la scena ed intrattenere il pubblico con la sua accattivante ‘verve’ comunicativa. La partenza è affidata a Out of My Body (dall’album individuale del 2016, These People), una ballata elettrica che si sviluppa sopra un tappeto di scansioni mid-tempo e nugoli di tastiere sideree. Abbiamo capito che al nostro cospetto c’è un grande performer che ha stile da vendere, la sua voce alcolica e incrostata di fumo emana vibrazioni che mettono brividi a fior di pelle, catalizzando l’attenzione del folto pubblico che nel frattempo s’è ingrandito a perdita d’occhio. Ed ecco che le note del primo ‘inno urbano’ in programma, Sonnet, prendono a risonare come cristalli dalle corde riverberate, pronte ad aizzare gli entusiasmi dei fans che ne hanno istantaneamente riconosciuto il memorabile giro armonico. Dopo l’eccellente This Is How It Feels, altra ballad conferita di arpeggi magnificenti, con Space and Time si ritorna ai The Verve di Urban Hymns per una versione da palco bella densa e potente. Non un solo momento d’incertezza e cedimento, ma un crescendo di energie pulsanti senza soluzione di continuità, anche laddove, come nella sessione di brani dai dischi solisti, si entra nel vivo del trip psichedelico iniettato di Britpop d’annata. Così come nel breve intermezzo acustico che il carismatico cantore s’è ritagliato dopo quel sublime incanto di poesia malata che è (e sempre sarà) Lucky Man. Ma l’apoteosi assoluta della situazione (anticipata da una superba esecuzione di Hold On) non poteva che risiedere nel brano simbolo dei Verve: Bitter Sweet Symphony. Salutata da una fitta foresta di cellulari accesi puntati in direzione del palcoscenico, la canzone più amata del musicista inglese ci ha investito in tutto il suo immaginifico, vertiginoso, fulgureo splendore, adornata da quell’inarrivabile diadema melodico, in odore d’eleganza barocca, che ha fatto scuola, giustamente infilata a sigillo di un ritorno trionfale.

Aldo Chimenti

ph Loris Brunello

 

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