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QUEENS OF THE STONE AGE

Squadra che vince non si cambia. è il tipo di consiglio che sarebbe servito al Josh Homme di dieci anni fa, quando la sua ispirazione di autore e musicista raggiungeva lo zenith, grazie anche a un piccolo aiuto degli amici. Correva infatti l’anno 2002, il mese di agosto per la precisione: Songs for the Deaf, terzo album dei Queens of the Stone Age vedeva la luce e la mostrava di rimando a tutti quei giovani che, fino ad allora, di stoner e sessioni nel deserto non avevano mai sentito parlare. Raccolta di brani hard rock in seguito giudicata tra le più formidabili degli Anni Zero, era destinata in realtà, più che ad aprire nuove strade, a chiudere i conti che ancora restavano aperti dal prossimo passato. Uno di questi riguarda la scena del rock alternativo statunitense riconfluita dai numerosi rivoli della decade precedente: dai un’occhiata ai crediti di copertina e ci ritrovi un vivaio di nomi e ragioni sociali profondamente nineties. Dean Ween degli Ween, Paz Lechantin (già con Melissa Auf Der Maur e Silver Jews), quel Chris Goss mente dei Master of Reality e, in qualità di produttore, primo inventore del suono stoner. Ma oltre ai collaboratori una tantum, è la line-up vera e propria, la “squadra”, per l’appunto, che potresti scandire a memoria, e con la stessa nostalgia commossa che prende l’appassionato di calcio quando recita una formazione vittoriosa della nazionale: Homme ovviamente centravanti di sfondamento, con il fidato Nick Oliveri a dare di assist dall’ala sinistra del palco. Giocava da libero quel Mark Lanegan, che tutt’ora continua a far presenza, in onore di un patto tra gentiluomini stretto ai tempi in cui era stato un Josh giovane e smarrito ad essere assunto come secondo chitarrista negli Screaming Trees. E infine, in porta c’era lui, Dave “saracinesca” Grohl in persona, che pur di dividere lo studio pochi giorni con alcuni dei suoi musicisti preferiti torna dietro le pelli dopo lunga astinenza e per poco non mette a repentaglio l’esistenza della sua gallina dalle uova d’oro, i Foo Fighters. Ma con le Canzoni per i Sordi culminava anche un altro percorso, più personale, che aveva visto l’ex Kyuss lasciarsi alle spalle la vecchia band tra non pochi dissapori, mettersi in proprio, scoprirsi cantante per forza e autore per vocazione, per giunta portato a scritture pop della più bell’acqua. In tutto ciò il successo del terzo disco arrivava come un’improvvisa conferma delle sue doti e, insieme, un punto di non ritorno per la storia della band…su Rockerilla di Giugno l’articolo e la recensione di “…Like Clockwork” di Simone Dotto.

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