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PETER MURPHY ft. David J

Viviamo in un tempo in cui, se provi a pubblicare sui social media la copertina di In the Flat Field, mitico esordio dei Bauhaus, uscito in quel meraviglioso crepuscolo musicale che è il 1980, vieni censurato. È un tempo triste, povero e confuso, quello in cui siamo, un tempo che per sopravvivere deve nutrirsi di memoria, e che anche quando prova a farlo con tenacia e devozione, deve comunque fare i conti con se stesso.

L’operazione-nostalgia messa in piedi da Peter Murphy con la collaborazione del suo storico bassista David J, per quanto pregevole e necessaria (oltreché furba), deve appunto fare i conti con il tempo: ben 40 anni sono trascorsi dall’inizio di quella meravigliosa avventura estetica e artistica che sceglieva come nome l’emblema delle avanguardie di inizio Novecento, e che chiamava a raccolta la new wave, il glam rock e il punk per dare vita a una creatura che sarebbe entrata a pieno diritto, con una manciata di capolavori, nel gotha(m) della dark music. Quella stessa creatura, proiettata quasi a forza nei nostri giorni, un po’ c’incanta e un po’ ci percuote.

A Milano, in un Fabrique gremito di affabili vampiri mischiati con gente comune di ogni età, va in scena una performance affatto lineare e fluida, ma anzi apertamente spigolosa e discontinua, caratterizzata da non meglio precisati malumori del frontman, che a un certo punto, rivolgendosi al pubblico, arriva ad esclamare: “Milano, you think you are cool. But you are uncool”.

Corposa la set list, dedicata a celebrare i Bauhaus con una selezione di brani altamente iconici. Com’era facile immaginare, dominante e centripeta la presenza scenica di Murphy, ininterrottamente fulcro dell’intera esibizione, che impersona per tutta la durata del live il ruolo di mattatore provocatorio e ammaliante, alternando pose e movenze in bilico tra cabaret ipnotico ed egotismo da rockstar. S’improvvisa batterista duettando un controtempo con David Slupski e imbraccia la diamonica riuscendo nel miracolo di conferirle un suono macabro e potente.

Il riff magnetico di Burning From The Inside, insieme alle esplosioni di Bela Lugosi’s Dead, She’s in Parties e Dark Entries, sono forse tra i momenti più alti di un live pieno di chiaroscuri, dove al sapiente protagonismo di Peter Murphy, teatrale e a tratti finanche caricaturale, si accompagna il prezioso apporto di David J, con le sue linee poderose e inconfondibili. Il resto sono tasselli che ciascuno compone a proprio piacimento nella memoria di ieri e nelle suggestioni di oggi, partecipando a questa resurrezione a tratti assordante, a tratti incerta.

Mentre i Bauhaus rivivono davanti ai nostri occhi, aleggia un’atmosfera di rimpianto per qualcosa che, ormai sembra chiaro, è andato perduto. Non è certo la prima operazione di recupero a cui assistiamo, eppure in questi progetti di reviviscenza artistica è sempre in atto una gara implacabile tra quello che è stato e quello che è. A turno vince il ricordo, o la realtà. Qui la realtà ha vinto sull’emozione, e ci ha destato in fretta dal sogno.

 

Double Dare

In The Flat Field

A God In An Alcove

Dive

Spy In The Cab

Small Talk Stinks

St. Vitus Dance

Stigmata Martyr

Nerves

Burning From The Inside

Silent Hedges

Bela Lugosi’s Dead

She’s In Parties

Adrenaline

Kick In The Eye

The Passion Of Lovers

Dark Entries

The Three Shadows Part Ii

Severance (DEAD CAN DANCE cover)

 

Valentina Zona

ph Loris Brunello

Milano, Fabrique, 22 novembre

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