Top

Pankow

 

Qualche integralista della prima ora sosteneva che il punk nel 1979 era già morto. Certo l’impeto iniziale della grande rivolta che modificò i connotati del rock aveva già fatto il suo corso, ma gli effetti collaterali che il punk produsse sui pionieri della nuova onda furono quelli di una enorme polveriera contro-culturale destinata ad investire l’Occidente tutto e a manifestarsi ripetutamente in più forme e latitudini. In altre parole il punk non era affatto morto nel ‘79, ma si era autofecondato e rigenerato in una formidabile fioritura di cuori ribelli che pur conservando il seme del punk primigenio diedero vita ad un fenomeno altrettanto esplosivo: il post-punk. Ci piace considerare il 1979 come una data cruciale per l’affermarsi del dopo punk, la sua consacrazione sull’abisso nero di Unknown Pleasures, il primo capolavoro dei Joy Division, la genesi di un nuovo codice di bellezza che assurse a fonte d’ispirazione e testa di ponte imprescindibile per intere generazioni. Ma era anche l’anno di 20 Jazz Funk Greats e Mix-Up, inni blasfemi, firmati Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire, che cantavano l’alienazione della modernità industriale disumanizzata. Forse non è un caso che i Pankow germogliarono nel clima di quell’annata fatidica, chiamati all’appello di un rivolgimento musicale e culturale che, già forte dell’esperienza bolognese (Gaznevada e Skiantos in primis), avrebbe ulteriormente e beneficamente infierito sulla nostra penisola… Su Rockerilla di Aprile il corposo articolo di Aldo Chimenti e l’intervista di Giancarlo Currò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Condividi