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PANKOW

+ LISFRANK | 20 Febbraio | Torino | Cafè Liber

Un evento all’insegna della migliore new wave di casa nostra cui è stato possibile assistere grazie all’intraprendenza dell’Associazione Culturale Darkitalia. Di scena, sotto i riflettori del Cafè Liber ci sono Pankow e Lisfrank, due voci storiche che hanno cavalcato i fermenti generazionali dei primi anni ottanta per giungere integri all’appuntamento della storia. Gli estimatori, quelli autentici della prima ora, ben conoscono i trascorsi artistici di Lisfrank (nom de plume del savonese Fulvio Guidarelli ), già autore nel lontano ’82 dell’EP autoprodotto Man Mask, prova di tutto riguardo che però coincise fortuitamente con la sospensione del progetto sine die. Nel 2009 Lisfrank infilò un sorprendente ritorno ‘in trincea’ licenziando l’antologico Mask Rewind e nel 2014 un album nuovo di zecca intitolato Elevator. Ritorno che oggi ci è dato di salutare anche in sede live, chiamato ad aprire il concerto di quei formidabili elektro-agitatori nazionali che di nome fanno Pankow. Lisfrank è la creatura personale di Fulvio Guidarelli, completamente gestita in solitaria (salvo gli addetti al mixer) anche in versione da palco, solo lui e le sue macchine dal respiro analogico ad inforcare una prestazione andata perfettamente a segno. Poco importa se, per ovvie ragioni, si sia dovuto far ampio impiego di basi, questo non ha menomamente influito sui responsi di un pubblico coinvolto e plaudente, merito di un’esibizione magnetica, carica di suggestioni retro-futuristicamente vivide e vitali, di sussulti emozionali ritrovati e mai dimenticati. Il meticoloso stile geometrico e ad un tempo trasognante delle sue sculture elettroniche ha catalizzato l’attenzione generale in un florilegio di pulsazioni vertiginose e di inebrianti ventate melodiche che fanno subito breccia. Un’esultanza di armonici virulenti, di cluster metronomici non solo scientemente architettati battito dopo battito, ma altresì mossi da quella sorta di passione empatica destinata a far rivivere memorie di stagioni gloriose, siano essi i brani del repertorio più recente (War, Minimal People, Elevator) o i singoli degli albori giovanili (It’s Life, I Still Believe In Love) rinnovati per l’occasione. Mentre l’eco del pensiero rimanda alle iconografie radiose di Human League, DAF, Kraftwerk, OMD, John Foxx, Gary Numan (…), il tutto filtrato e ridefinito attraverso le lenti convesse dell’ispirazione e della concezione estetica ad egli (e a noi) infinitamente cara, incluse le evocative inflessioni liriche di Guidarelli medesimo al canto. Onore al merito.

Era da lunghi anni che, per forza di cose, i Pankow mancavano all’appello dei miei calendari concertistici più o meno regolari. La formazione nel frattempo ha subito diverse trasformazioni a livello di organico ma non di stile. Dal vivo gli ineffabili pionieri della scena industrial post-punk avanguardistica fiorentina si presentano in forma snella, con il coinvolgimento di due manipolatori tastieristi (fra cui il leader storico Maurizio Fasolo) e il giovane cantante belga Bram Declercq, subentrato al carismatico Alex Spalck. E così che nel giro di un breve intervallo ‘fisiologico’ tra un’esibizione è l’altra, partono le ‘fanfare’ dell’intro (o presunta tale) deputata ad aprire le danze e a catapultare sulle sponde ardenti di I’m Lost, Little Girl, che se memoria non m’inganna apriva la scaletta di Gisela, l’album dell’89. Il centro della scena è presto monopolizzato dalla gestualità schizoide e dal graffio vocale, ‘glitchizzato’, del prestante Declercq, fiancheggiato nelle postazioni laterali dai due scienziati dell’onda sonora dietro ai loro generatori elettronici, incaricati a pilotare l’azione così come predisposto nella sequenza dei brani in programma. Sin da subito ogni timore è dissipato, lo smalto dei Pankow non ha subito scalfitture alcune, sfolgora ancora come ai tempi d’oro, incluse le prestazioni eloquenti del giovane frontman che riesce a non far rimpiangere i metodi sferzanti di Spalck, sebbene non così teatrali e devastanti come quelle dell’insigne predecessore. L’atmosfera si incendia in men che non si dica, alimentata dalla congerie di scansioni sincopate e stratificate, di ritmi plurimo-vibrazionali che rombano e rimbalzano in ogni dove, incalzata dal profluvio di pattern siderurgici che vorticano, deragliano e deflagrano sui turbini potentissimi messi a regime dai navigatissimi musicisti in forza. Si spazia via via nel repertorio ultratrentennale di episodi vincenti quali Sickness, Don’t, Adrenalina, Mortality, Brucia Europa Brucia, Gimme More, Escape From Beige Land, Das Wodkachaos, Me And My Ding Dong, Der Mussolini (gettonatissima cover dei DAF), Extreme: siluri atomici in stato di collisione onnidirezionale permanente. Una centrifuga multi speed di motorik impazziti e di BPM ad altissimo voltaggio, di sconquassi piretici e schegge di proclami lapidari (le cui parole sono proiettate come una sorta di karaoke apocalittico sullo schermo luminoso posizionato alle spalle dei Nostri) che colpiscono muscoli e sinapsi del folto manipolo di astanti in delirio. Per il bis i Pankow hanno pensato bene di offrire un altro giro di Wodka ghiacciata, potentissimo cavallo di battaglia il cui segreto è quello di non stancare mai. Una grande cult band per cui andare ancora assolutamente fieri.

ph Maurizio Pustianaz

Aldo Chimenti

Pankow - ph. Maurizio Pustianaz

Lisfrank---ph.-Maurizio-Pustianaz

 

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